L'UMANITÀ

Diario / VENERDÌ 27 MARZO 2020

Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia
Però Tu, Signore,
non lasciarci in balia della tempesta

Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati
   È già Venerdì Santo. Non lo è per il calendario, che lo segna fra due settimane. Lo è tutti i giorni, da settimane, per la vita collettiva, per le vite personali di molti, per le nostre vite: solitudine, paura, anche morte ne riempiono le ore. Solitudine, paura e morte riempivano il Golgota nel Venerdì della Parasceve. Anche un grido: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
È già Venerdì Santo stasera in Piazza San Pietro. Papa Francesco è solo. Lo impone la morte che minaccia l'umanità e impaurisce il pianeta. Papa Francesco ripete la domanda drammatica dei discepoli a Gesù sulla barca in pericolo: "Maestro, non t'importa che moriamo?". Mentre ripete questa domanda, il chiarore della sera lentamente trapassa al buio, la pioggia diventa più forte e se ne sente lo scrosciare sul sagrato, le sirene spiegate fanno "vedere" ambulanze, numerose, con il loro carico di paura della morte.
Papa Francesco ci ha convocati qui da tutte le parti del mondo. Ci conteremo a milioni alla fine del "Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia" che il Pontefice ha proposto all'umanità. Attraversa Piazza San Pietro con passo claudicante e sui gradini trova una mano a sorreggerlo, perché ha i suoi anni, è uno dei vecchi che la pandemia di Covit-19 sta decimando, ma è anche il pastore che sta col gregge, sempre e in special modo nel pericolo, nella paura.
"Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell'aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti".
Ci descrive così il Papa, che per introdurci alla preghiera ha scelto il racconto della "tempesta sedata" del Vangelo di Marco.
In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: "Passiamo all'altra riva". E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: "Maestro, non t'importa che moriamo?". Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: "Taci, calmati!". Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?". E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?" (Mc 4:35-41).
"Come i discepoli del Vangelo - constata Papa Francesco - siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell'angoscia dicono: "Siamo perduti" (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme".
"Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri "ego" sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l'appartenenza come fratelli", dice il Papa un po' più avanti nel commento al Vangelo.
Alla ritrovata fratellanza è dedicato il brano più lungo della meditazione di Francesco; è una fratellanza pratica quella che egli evoca, una fratellanza che ha nomi e cognomi; ed è come se il Papa li leggesse questi nomi: chi li porta li ascolta, anche se noi non li sentiamo.
"Possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni - solitamente dimenticate - che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell'ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell'ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: "che tutti siano una cosa sola" (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti".
Non sempre va così. Non sempre è andata così.
"Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è".
Francesco prega così il nostro Dio.
I microfoni sulla piazza catturano lo stridio dei gabbiani, signori ancor più indisturbati del cielo di Roma, che nel silenzio siamo costretti ad ascoltare. Altre grida non abbiamo invece ascoltate, ed erano grida di persone.

"In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi - prega Francesco, rivolgendosi a Dio -, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato".
Francesco insegna a fermarci. Accanto a sé il Papa ha voluto l'originale dell'icona mariana della Salus Populi Romani, e il Crocifisso dei Miracoli di San Marcello al Corso, alla cui intercessione prodigiosa si attribuisce la sconfitta del flagello della peste nel 1500 e dove aveva compiuto il primo pellegrinaggio solitario di questa Quaresima. Si sofferma a lungo in preghiera davanti alle due immagini sacre. Ancora più a lungo si ferma in preghiera davanti all'ostensorio del Santissimo. Minuti lunghissimi nel format televisivo; brevissimi nella preghiera che medita e che genera speranza.
Prima della meditazione, Francesco aveva pregato la benedizione del Signore.
"Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l'intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: "Voi non abbiate paura" (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, "gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi" (cfr 1 Pt 5,7)".
L'ultima parola Papa Francesco la lascia all'Altissimo. Alza l'ostensorio e dalla porta della Basilica di San Pietro si affaccia nelle case di tutto il mondo. Qui arriva la benedizione "Urbi ed Orbi", la benedizione del Vescovo di Roma impartisce a Natale e a Pasqua alla sua città e al mondo intero.
È già Pasqua allora. La pioggia è ancora battente, ma non riesce a spegnere i sei candelabri che danno barlumi a Piazza San Pietro. Ululano le sirene e stridono i gabbiani, ma anche le campane suonano e si riesce a sentirle.

sommario

um-033
5 aprile 2020
scrivi al senatore
Tino Bedin