TINO BEDIN

Lettera dal Senato. 103 / 25 novembre 2005
Un episodio padovano, un tema generale

Domande per me cristiano laico in politica (e poi per la mia Chiesa)
Come utilizzare consenso e potere, cioè gli strumenti della democrazia? Come trasformare la globalizzazione in comunitarizzazione?

di Tino Bedin

Cari amici, tre iscritti alla Margherita del Comune di Padova hanno coinvolto me ed altre persone in un dialogo a proposito di una nomina spettante alla diocesi di Padova in un'istituzione educativa pubblica. Li ringrazio di questo coinvolgimento, perché mi consente verifiche ad approfondimenti sull'essere cristiano laico in politica.
Sul fatto specifico, quello del consiglio di amministrazione dell'Opai-Seef, non ho tutte le informazioni necessarie per una valutazione che metta al giusto posto la prudenza della comunità cristiana nei rapporti con le istituzioni repubblicane, la competenza delle persone indicate per un servizio pubblico, gli obiettivi che attraverso le "opere" si vogliono raggiungere. Anche se già utilizzare questi criteri nelle nomine, sarebbe una... scelta.

Il dovere caritatevole di interrogare. Sia Bruno, che ha iniziato il dialogo, che Paolo e Maurizio, che lo hanno arricchito, vivono l'esperienza politica perché motivati dalla fede cattolica. Del loro dialogo - anche se con accenni ed accenti diversi - mi ha quindi coinvolto soprattutto una domanda, pur non esplicita: il rapporto tra comunità cristiana e società politica può avvenire direttamente o deve passare attraverso l'impegno dei singoli cristiani laici nella politica?
Bruno osserva: "Avevo infatti acquisito la certezza, frequentando la formazione socio-politica ed altri incontri formativi, che la Chiesa padovana si era posta, giustamente, al di sopra delle parti politiche".
Paolo ha una convinzione: "Non ritengo tuttavia opportuno chiamare in causa la diocesi e attaccarla cosi direttamente, per la sua scelta: dobbiamo rispettare l'autonomia e le decisioni della Curia".
Maurizio pone una questione: "La domanda di fondo, che mi pongo, di fronte alle dispute su laicismo, laicità, cattolicesimo, ecc. è: perché mai la Chiesa non rinuncia alla nomina di un proprio rappresentante? Solo questioni di mero diritto privato?".
Come membri della comunità cristiana abbiamo certo il dovere caritatevole di porre queste domande alla nostra Chiesa. San Paolo ci sollecita anzi a porre queste domande "in pubblico", in modo che ci siano dei testimoni.
Ho anch'io qualche domanda da porre alla mia Chiesa italiana, dopo la "beatificazione ante mortem" di Pierferdinando Casini avvenuta nella stessa settimana in cui questo "esempio di vita politica ispirata dalla fede" ha iniziato ufficialmente la campagna elettorale; beatificazione officiata da chi evidentemente ritiene rovinose per la società le "famiglie di fatto" quando vissute da giovani precari, ma non quando sono "replicate" da chi ha stipendi da presidente della Camera o redditi da capitale azionario e proprio per questo mostra la sua famiglia di fatto tutti i giorni in tv.
Sono domande di un membro della comunità cristiana.

È possibile vivere cristianamente la politica? Come membro della società politica, tuttavia, credo che questo sia il tempo in cui porci con quotidiana urgenza domande prima di tutto su di noi; a partire dalla domanda essenziale: se sia possibile vivere cristianamente la politica in una società plurale, che del cristianesimo accetta e magari crede di difendere i valori umanamente importanti, ma che ha privatizzato quelli religiosamente impegnativi; in una società che si scandalizza di un velo che nasconde i capelli per strada e non dice nulla del reggiseno che vola via in tv ad ogni interruzione pubblicitaria.
Quando m'interrogo sul "vivere cristianamente la politica" non intendo la testimonianza; intendo l'utilizzo degli strumenti propri della politica: l'interpretazione dei bisogni, la costruzione del consenso, l'esercizio del potere democratico; intendo cioè il perseguimento dell'obiettivo normale in una democrazia: essere maggioranza ed esercitarla.
M'interrogo se questo obiettivo è oggi politicamente consentito ai cristiani laici sia nelle singole formazioni politiche, sia nelle istituzioni. Non è una domanda teorica o filosofica.
Restiamo in casa nostra: la Margherita, che Paolo definisce "un partito tradizionalmente vicino al cattolicesimo popolare e riformista", sopravvivrebbe se alcuni cattolici popolari e riformisti puntassero democraticamente - cioè per il tempo in cui vi fossero in maggioranza - a farne lo strumento politico per proporre la loro visione della società?
Usciamo di casa: è un bene per l'Italia il partito confessionale che si intravede dietro le più recenti iniziative del citato "beato" Casini?

Abbiamo una rivoluzione da fare? L'altra serie di domande che riguarda noi cristiani laici in politica e non la Chiesa, riguarda poi proprio la "visione della società", l'originalità che ci contraddistingue.
La settimana scorsa sono stato con il gruppo "Padre Lele Ramin" di Brugine per un dialogo sul "cuore" dell'Europa. Ho - tra l'altro - letto e riletto con i presenti le due paginette della Dichiarazione di Robert Schuman del 9 maggio 1950, che è all'origine dell'Europa Unita. Riga dopo riga questo cattolico francese, ministro degli Esteri, descrive concretamente una rivoluzione politica (la pace come strumento di comune signoria, al posto della guerra come strumento di potenza nazionale), diplomatica (centralità della Nazioni Unite), economica (governo condiviso delle risorse energetiche essenziali), sociale (innalzamento dei livelli di vita), internazionale (lo sviluppo del continente africano come compito essenziale dell'Europa). A questa rivoluzione si forniscono in quella dichiarazione gli strumenti istituzionali e le risorse economiche attraverso l'Alta Autorità per il carbone e l'acciaio.
Il tempo che stiamo vivendo non ha minori incertezze e minori opportunità del tempo in cui un manipolo di cristiani laici si assunse la guida dell'Europa che non poteva più sopportare la guerra. Allora, partendo dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, in Francia e in Germania, in Italia e in Belgio, uomini di governo immaginarono ed avviarono la prima rivoluzione pacifica della storia.
Oggi che le reti fisiche e quelle elettroniche hanno rimpicciolito la Terra al punto che ci pestiamo i piedi l'un l'altro (per l'internazionalizzazione del mercato di merci e lavoro, i movimenti delle persone, la contestualità delle sofferenze), c'è una visione politica che trasformi la globalizzazione in comunitarizzazione? Qual è la nuova Alta Autorità cui affidare il potere che attualmente il Mercato si è preso (quasi dovunque consensualmente)?

Con che bambini ci prendiamo per mano? Prendendoci per mano con quali persone, faremo squadra per innalzare il livello dei diritti?
Intendo: prendersi per mano anche fisicamente, magari partendo dai bambini dell'Opai di Padova, invece dal consiglio di amministrazione che ha causato questo nostro dialogo. Che progetto abbiamo con i bambini che nascono e crescono a Padova; tutti, di tutti i colori? Erano di "tutti i colori" (quelli allora… disponibili, e quindi prevalentemente sociali) i bambini per cui nacque l'Opera Pia Asili Infantili. Una volta risposto a queste domande, porremo le domande alla nostra Chiesa.

Tino Bedin

Padova, 25 novembre 2005


25 novembre 2005
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