Cari amici,
ha un bel titolo il programma europeo per la scuola proposto e sviluppato dalla Presidenza olandese dell'Unione Europea nel secondo semestre di quest'anno: "Imparare gli uni dagli altri". Maria van der Hoeven, ministro olandese dell'istruzione, non lo sta interpretando nel senso che "c'è sempre qualcosa da imparare dagli altri", come tradurrebbe la nostra Letizia Moratti. Poiché per imparare ci vogliono gli insegnanti, l'Olanda punta sulla mobilità dell'insegnamento. Finora in Europa hanno circolato e circolano soprattutto gli studenti, grazie a programmi apprezzati e consolidati. Ora Maria van der Hoeven dice: facciamo circolare anche gli insegnanti, in modo che gli uni insegnino agli studenti degli altri. Organizzerà una Conferenza europea specifica sull'argomento e metterà al primo punto l'insegnamento delle lingue, essenziale per la mobilità di docenti e studenti.
Vista dall'Aja (ma anche da Tallinn o da Bratislava, per quello che conosco) quest'ambizione europea è una bella opportunità. Vista da Padova (ma anche da Aosta o da Catania) quest'idea della "mobilità europea" degli insegnanti appare piuttosto come un'ulteriore preoccupazione. Migliaia di insegnanti precari rischierebbero di vedersi passare avanti colleghi danesi e portoghesi, lituani e ungheresi.
Con le graduatorie cambieranno gli insegnanti. Il pericolo non c'è, ovviamente. Ma lo stato di prostrazione in cui vivono in queste settimane gli insegnanti precari può far loro temere anche questa eventualità. Oltre che dalla precarietà del loro lavoro gli insegnanti si sentono umiliati dalla negazione delle loro difficoltà. Il ministro Letizia Moratti è apparsa per dire che tutto va bene a scuola e soprattutto che l'anno scolastico inizia regolarmente con gli insegnanti al loro posto, grazie alle nuove graduatorie.
I precari non hanno dimenticato che le conclamate nuove graduatorie sono state fonte di un caos senza precedenti. Tutto si è svolto con modalità incomprensibili, quasi misteriose: dalla contestatissima decisione di assegnare un punteggio doppio a chi ha insegnato in fantomatiche sedi di montagna all'idea di riconoscere come anno di insegnamento quello del servizio militare (idea poi ritirata per le prevedibili proteste di migliaia di donne che il militare non hanno potuto farlo), agli errori che inevitabilmente l'amministrazione scolastica ha fatti dovendo chiudere le graduatorie perché tutto funzionasse per l'apparizione del ministro.
Così ora ci sono i ricorsi. Alla prostrazione dei precari si aggiungeranno settimana dopo settimana il disagio degli studenti e l'inquietudine delle famiglie, mano a mano che si esamineranno i ricorsi e si assegneranno davvero le cattedre, con il cambio di insegnante ad anno scolastico già iniziato. Letizia Moratti apparirà di nuovo, allora, ed annuncerà che la colpa di tutto questo è dei sindacati. Ma come in questi giorni non ha assolutamente convinto gli insegnanti, allora non convincerà neppure famiglie e studenti.
Meno Inglese alle elementari e alle medie. Ragazzi e genitori non le crederanno anche perché intanto avranno toccato con mano un'altra conseguenza della politica scolastica della Destra sull'insegnamento della lingua inglese alle elementari e alle medie, cioè su una delle maggiori attese dei cittadini ed anche, come abbiamo visto, su una delle sfide cui si sta dedicando la Presidenza olandese dell'Unione Europea.
Letizia Moratti è apparsa per dire che ci sono mille insegnanti in più di Inglese nella scuola elementare. Ha fatto intendere che ci sia anche più Inglese nella scuola primaria. Invece gli alunni prima facevano 297 ore di Inglese in tre anni dalla terza alla quinta, ora faranno 297 ore di Inglese in cinque anni dalla prima alla quinta. Fino all'anno scorso però c'erano alunni che già in prima e seconda sfruttavano ore facoltative di Inglese per complessive altre 30 ore: queste sono sparite, conglobate nella cifra minima. Va molto peggio nella scuola media. Prima della deforma Moratti gli studenti facevano 4 ore di Inglese la settimana con il tempo prolungato e 3 ore con il tempo normale; quest'anno faranno 1 ora e 38 minuti la settimana. E alla media non se la cava meglio la seconda lingua comunitaria: prima la si studiava per almeno 80 ore all'anno, ora se ne utilizzeranno 66.
Un altro pezzo di diritti va sul mercato. Non ce l'ha con l'Inglese la nostra ministro. L'Inglese si riduce perché si riduce il tempo dedicato alla scuola, che per gli studenti della media è con la deforma Moratti di 27 ore la settimana.
Ma ci sono le ore facoltative, dicono i miei colleghi senatori che hanno votato la legge Moratti: l'orario può diventare di 30 ore o di 33 e lo si può riempire d'Inglese, se le famiglie vogliono. Sembra una giustificazione, addirittura un'occasione: è invece la conferma di una scelta politica che la Destra ha fatto e sta facendo in molti settori che coinvolgono i diritti di cittadinanza.
L'inglese è oggi un campo nel quale famiglie e ragazzi vogliono investire e misurarsi. Sanno che una fetta di presente e di futuro dipende anche da questo strumento. L'Inglese è più di una materia: è un'opportunità per le persone, può diventarlo per il mercato. Invece di assicurare con il servizio scolastico pubblico pari opportunità a tutti i cittadini, la Destra fa ritirare la scuola pubblica nella sfida dell'Inglese e lo mette sul "mercato", sia quello interno delle opzioni che quello effettivo dei corsi a pagamento.
Alcuni dirigenti scolastici hanno risposto a questa involuzione rendendo di fatto "obbligatorie" le 30 ore pur di conservare la qualità dell'insegnamento dell'Inglese. L'autonomia scolastica, costituzionalmente garantita dalle leggi dell'Ulivo, glielo consente. Ma basta cambiare la legge oppure basta misurare i soldi alle scuole sulle 27 ore normali e l'Inglese da opportunità diventerà elemento di distinzione.