La Costituzione italiana avrà fra meno di tre mesi una frase in più. L'articolo 51 sarà scritto così: "Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini". Il periodo in più è costituito dalle poche parole che ho trascritte in corsivo; poche parole che il Parlamento aveva soppesate nella scorsa legislatura e che è stato possibile approvare definitivamente il 20 febbraio di quest'anno in Senato.
Lo scopo della modifica costituzionale è di far compiere un passo avanti nella realizzazione dell'eguaglianza sostanziale, senza intaccare l'universalità del principio di eguaglianza ed il carattere universale della rappresentanza, e di fornire la necessaria copertura costituzionale per azioni positive tese a rimuovere gli ostacoli che si sono finora frapposti all'accesso delle donne alle cariche elettive. La modifica crea per le donne le condizioni di una possibilità reale di candidabilità, di parità di accesso alle candidature; non garantisce certezza dei risultati.
Entra così nella nostra Costituzione il principio contenuto nell'articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Europa: "Il principio di parità non osta al mantenimento e all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato".
Integrazione necessaria. Che ci sia bisogno di questo principio lo si vede dalle inquadrature che le telecamere rimandano ai cittadini dalle aule parlamentari: volti di donna se ne vedono ben pochi e non per assenteismo. Alla Camera le deputate rappresentano il 9,8 per cento; al Senato le mie colleghe sono ancora meno: il 7,8 per cento. Nel Parlamento svedese le donne sono il 45 per cento.
Per applicare questo principio c'era proprio bisogno, per quanto strano possa sembrare, di una integrazione costituzionale. La prima legge che aveva tentato di aumentare la presenza femminile alla Camera dei Deputati era stata infatti cancellata dalla Corte costituzionale nel 1995. Molto recentemente l'attuale governo ha impugnato la nuova legge elettorale della Valle d'Aosta del 2002 (che ha azioni positive per la presenza femminile) proprio richiamandosi all'articolo 51; in questo caso il 13 febbraio di quest'anno la Corte costituzionale ha dato torto al Governo Berlusconi.
Dal principio alla scheda elettorale. D'ora in avanti si possono, si devono, fare leggi elettorali per applicare il nuovo principio, che dalla Costituzione dovrà arrivare alla scheda elettorale. Solo così la modifica costituzionale diventerà operativa, servirà a cambiare lo stato attuale e non sarà una delle tante norme manifesto, una gentile bandiera rosa piantata nella Costituzione, una galanteria costituzionale.
Questo Parlamento, che pure è riuscito a modificare la Costituzione, farà le leggi applicative? Noi senatori e deputati, quasi esclusivamente uomini, faremo delle norme che inevitabilmente significheranno la rinuncia al seggio per una parte di noi?
Le premesse non sono incoraggianti.
Ho scritto all'inizio che solo fra tre mesi la Costituzione avrà quella frase in più. Il testo ha concluso il percorso parlamentare, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 25 febbraio, ma non si può considerare "norma". Questo perché nella seconda votazione, il 3 luglio 2002, la Camera ha approvato la modifica costituzionale con 365 sì 66 no; non è stata cioè raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi, prevista dall'articolo 138 a garanzia della Costituzione; una maggioranza necessaria per dare vigore immediatamente alle revisioni costituzionali. Occorre perciò attendere tre mesi per consentire a un quinto dei deputati o dei senatori, o cinque consigli regionali, o a 500 mila elettori di proporre il referendum di garanzia costituzionale previsto dall'articolo 138 della Costituzione.
L'altra premessa poco incoraggiante è nel testo stesso. Si tratta - come ho scritto - di un principio indispensabile, ma assai generale. Su questo tema nella scorsa legislatura il Parlamento dell'Ulivo aveva fatto molto di più.
Non è infatti con la modifica dell'articolo 51 che il principio di parità entra per la prima volta nella nostra Costituzione. Il principio è già stato introdotto all'articolo 117, nell'ambito della riforma federale confermata dal referendum del 7 ottobre 2001: "Le leggi regionali (…) promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive". Quindi, per tutto il sistema repubblicano che va dai comuni alle regioni il principio della parità di accesso alle cariche elettive è già in Costituzione. E lo è con una formula specifica che prevede la parità di accesso alla politica, mentre con l'attuale maggioranza è stato possibile arrivare solo ad una formula generica valida per tutta la legislazione della Repubblica. Si tratta di un arretramento rispetto alla norma dell'articolo 117 della Costituzione, che sarebbe stato meglio estendere dal piano regionale e locale a quello nazionale.
Non contrapporre politica e famiglia. Contemporaneamente alle regole elettorali, per rendere operativo il principio dell'articolo 51 occorre aggiornare anche alcune "regole" sociali.
Le donne sono sottorappresentate nella politica per molte ragioni. Una di queste è la condizione naturale e culturale: naturale, perché la maternità è loro prerogativa; culturale, perché l'"abitudine" continua ad affidare loro gran parte del peso dei servizi di cura e dei servizi domestici.
L'attuazione del nuovo principio costituzionale richiede di rompere questa "abitudine" e di valorizzare la condizione naturale. Bisogna evitare che la donna e la famiglia siano contrapposte, che la politica e la famiglia siano in concorrenza. Bisogna fare in modo che la promozione della donna e una maggiore parità nella società arricchiscano la famiglia.
Anche per questo aspetto le premesse non sono incoraggianti. L'attuale politica italiana non è in grado di rispondere a questa sfida. Sono in corso una riduzione dei servizi e una mortificazione di prestazioni di accompagnamento sociale che non vanno sicuramente nella direzione richiesta dal nuovo articolo 51.
Le mense, gli asili nido, le detrazioni per le colf, l'autonomia della condizione anziana non sono estranei all'accesso delle donne alle carriere politiche. Questi ed altri interventi consentono l'innalzamento della qualità complessiva della vita delle donne e quindi accrescono le possibilità di dedicarsi, per quelle che lo desiderano, alla carriera politica.
Anche così la famiglia cambia la politica. Adesso la famiglia ha anche dalla sua un'altra piccola parte della Costituzione; speriamo che abbia dalla sua anche il Parlamento.