TINO BEDIN

Lettera dal Senato. 64 /29 novembre 2002
Le regole non si cambiano con la Finanziaria

I finanziamenti in chiaro aiutano di più la politica
E per le tasse, prima esentiamo sagre, pro loco e società sportive

di Tino Bedin

Nel fine settimana a cavallo tra novembre e dicembre il Senato non chiude. La Commissione Bilancio è al lavoro per esaminare gli emendamenti alla legge Finanziaria per il 2003. Questo è un bene, perché un lavoro attento con disponibilità di tempo consentirà poi all'Assemblea del Senato di decidere con maggiori conoscenze. Ma il lavoro "straordinario", con pochi senatori presenti e i giornali che guardano fuori dal Parlamento, ha qualche rischio. Uno lo segnala su Repubblica di venerdì 29 novembre Curzio Maltese: "Nelle pieghe della Finanziaria sta per scivolare un emendamento che regala ai partiti un'altra pioggia di miliardi, consente l'azzeramento delle tasse e ripristina in Italia, unica democrazia dell'Occidente, il finanziamento occulto. Il provvedimento, che rischia di essere approvato in commissione al Senato fra oggi e lunedì, è firmato dal senatore mastelliano Fabris ma sarebbe frutto di un largo accordo. Il tutto naturalmente senza dare troppa, anzi alcuna pubblicità alla piccola rivoluzione".
Non faccio parte della Commissione Bilancio del Senato e devo dire che né e a me né ai colleghi del mio gruppo che invece attivamente e con grande competenza vi lavorano era stata preannunciata una iniziativa che riguardasse il finanziamento dei partiti. Insomma il "largo accordo bipartisan" è ragionevolmente una esagerazione giornalistica per richiamare tutti ad assumere pubblicamente una posizione.
Da parte mia lo faccio volentieri e subito. Esprimo il mio dissenso da una qualsiasi normativa sui partiti e le loro finanze fatta attraverso la legge Finanziaria.

C'è un preciso impegno del Senato. Prima ancora di dissentire sul merito delle innovazioni che l'emendamento suggerirebbe, devo infatti esprimere l'opposizione per lo strumento che si sceglierebbe.
In occasione dell'ultima discussione che si è avuta in Senato sui rimborsi elettorali ai partiti era stato a tutti chiaro che la procedura seguita alla Camera di una legge approvata in commissione, senza discussione e quindi senza il controllo dell'opinione pubblica, non sarebbe stata più tollerabile. Ricordo che quella legge di finanziamento ha determinato una distinzione all'interno dell'Ulivo, distinzione non solo tra partiti ma all'interno degli stessi partiti. Ricordo che durante il dibattito c'è stato l'impegno a considerare quel finanziamento come "limitato" al rimborso elettorale cui si riferiva e a discutere apertamente e complessivamente per il futuro sulle risorse finanziarie necessarie al sistema di democrazia rappresentativa.
Il Senato si è preso questo impegno formalmente, ufficialmente. Io resto fermo a quell'impegno. Credo che tutti quelli che l'hanno preso non possano che rispettarlo. Sono sicuro che lo faranno i membri della Commissione Bilancio. Mi piacerebbe che l'emendamento fosse dichiarato "improponibile" non per ragioni tecniche, contabili, ma per ragioni istituzionali: lo esige, appunto, un pronunciamento dell'Assemblea del Senato.

È meglio che gli iscritti sappiano da dove vengono i soldi. Anche sul merito comunque l'opposizione è netta. Comincio dall'ipotesi che possa essere legalmente occultata l'identità dei donatori ai partiti. So che la pubblicità dei contributi finanziari ai partiti "costa": costa ad alcuni che la fanno e che preferirebbero "non apparire" e costa ai partiti, che si vedono rifiutare finanziamenti proprio perché essi devono essere dichiarati. Però questa pubblicità è una garanzia per i cittadini ed anche una garanzia per i partiti stessi. I cittadini sanno chi ha finanziato campagne elettorali e attività di partito; sono in grado di collegare questi finanziamenti a possibili rapporti economici tra privati e pubblica amministrazione. Anche i partiti ne hanno vantaggio, se per partiti si intendono tutti coloro che fanno politica e non solo gli apparati: tutti sanno da dove vengono i soldi, i dirigenti non possono essere finanziati all'insaputa degli iscritti; le decisioni che si prendono sono libere da condizionamenti occulti. Questo è un bene per i partiti, un bene superiore ai soldi stessi: i soldi servono certamente, ma senza persone, senza animatori, senza iscritti, anche i partiti ricchi muoiono.
In conclusione il rapporto costi-benefici tra pubblicità e riservatezza del finanziamento ai partiti mi sembra tutto a vantaggio della pubblicità.

Se ci sono soldi, detassiamo il volontariato. Una parola anche sull'idea di detassare le attività dei partiti, compresa "la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, anche se dietro pagamento, direttamente da bar o esercizi similari". Qui la mia opposizione riguarda non il principio in sé ma il privilegio che si verrebbe a costituire. Le pro-loco, le società sportive che si finanziano con le bettole alle sagre, i donatori di sangue o le società combattentistiche sono da anni giustamente in lotta con il fisco che di fatto lucra su attività di volontariato il cui risultato economico è destinato a sua volta al volontariato. Ho detto che si tratta di una richiesta giusta. Se ci sono i soldi, se ci sono le condizioni parlamentari, si proceda innanzi tutto a soddisfare le richieste dell'associazionismo. Le sagre parrocchiali che finanziano la scuola materna, le lotterie dei bersaglieri, le custodie di automobili degli scout renderanno di più non ai promotori ma ai destinatari dell'attività di volontariato. Sentiranno lo stato più amico ed apprezzeranno di più i partiti e magari un po' di volontariato in più si dedicherà anche al servizio politico. Sarà un risultato assai più utile ai partiti che non evitare le tasse.

Tino Bedin

Roma, 29 novembre 2002

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29 novembre 2002
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