TINO BEDIN

"Chi non lavora, governi" è il vero titolo della legge proposta da Berlusconi
Trenta milioni di italiani
saranno in conflitto di interessi,
ma non l'Azionista d'Italia

Irrisolto il cuore del problema: la disponibilità dei cittadini di una pluralità di informazione. Una posizione dominante che potrebbe aprire contenziosi economici a livello europeo

L'Ulivo ha scelto di mettere in evidenza attraverso numerose voci i limiti e le incongruenze del disegno di legge sul conflitto di interessi, arrivato nell'aula del Senato. Per il gruppo Margherita-L'Ulivo è intervenuto il senatore Tino Bedin.

intervento di Tino Bedin

Tenterò di creare dei dubbi ai colleghi della maggioranza. Non ho la pretesa che mettano in dubbio il disegno di legge che codificherà stabilmente il conflitto di interessi nella nostra democrazia, visto che ieri un presidente dell'assemblea del Senato solitamente avaro in votazioni elettroniche ne ha addirittura promossa una egli stesso. Tenterò piuttosto di far sorgere nei colleghi del centro-destra qualche domanda sul comportamento degli italiani, vista la tanta sicurezza con cui affermano che i nostri concittadini hanno ben altro cui pensare che al conflitto di interessi.

Mettiamo che un artigiano diventi ministro
Ritenendo che essa non appartenga alla sua realistica prospettiva di vita, più di qualche italiano magari non si farà domande sul perché lui, per esempio, artigiano non possa fare il ministro e invece il proprietario di grandi pacchetti azionari di società possa fare il presidente del Consiglio.
Intendiamoci: secondo la legge in discussione, anche l'artigiano può diventare sottosegretario o ministro, ma deve rinunciare alla sua azienda; il grande azionista non deve invece rinunciare a niente, basta che non lavori, cioè che non eserciti attività diretta di gestione delle imprese; può però controllarne la vita, nominando il consiglio di amministrazione, approvando i bilanci, stabilendo la destinazione degli utili.
A questo punto l'artigiano forse continuerà a non appassionarsi al conflitto di interessi, perché non ha nessuna voglia di fare il ministro; di certo però non sopporterà di essere discriminato anche in politica, come spesso avviene nell'esercizio di impresa, tra chi ci mette il proprio lavoro e chi ci mette solo i propri soldi.
Poi l'artigiano leggerà che dal lungo elenco delle incompatibilità previste da questo disegno di legge, oltre ai titolari di pacchetti azionari, sono esclusi i disoccupati (insieme a chi non è in età da lavoro, come bambini e pensionati). Gli sorgerà allora la preoccupazione che avere al governo solo gente che non lavora non faccia bene né all'Italia né alla sua piccola azienda artigiana e si interesserà molto del conflitto di interessi. E, a questo punto, non sarà per niente soddisfatto che questa legge, il cui "vero" titolo secondo lui è "Chi non lavora, governi", sia stata promossa, sostenuta pervicacemente ed infine ottenuta dall'Imprenditore d'Italia e dell'Operaio d'Italia.

Trenta milioni di italiani saranno incompatibili a governare
In questi dodici mesi di governo Berlusconi noi dell'Ulivo ci siamo scandalizzati per la calma, la tanta calma con cui la maggioranza provvedeva a risolvere il conflitto di interessi. Dall'approvazione da parte della Camera, dove la discussione sulla legge per il conflitto di interessi fu concentrata in tre giorni, sono passati ben 110 giorni; parenti lontani dei famosi Cento Giorni in cui Berlusconi aveva promesso di risolvere il problema.
Ci siamo concentrati - noi dell'Ulivo - su questa ed altre promesse non mantenute dei primi 100 giorni, pensando che la mancanza di parola sul tempo delle promesse sia una cosa di cui Berlusconi deve dare ragione ai cittadini, a cominciare da quelli che l'hanno votato.
Adesso che la legge "Chi non lavora, governi" è ormai pronta, gli italiani si accorgono che la promessa che non viene mantenuta è di sostanza e non solo di tempo. Viene meno la promessa di mettere al governo la classe produttiva, di portare l'impresa alla guida dell'Italia.
Quando questa legge sarà approvata, secondo il suo articolo 2, tra i venticinque e i trenta milioni di italiani saranno incompatibili - e quindi devono rimuovere preventivamente l'incompatibilità se vogliono assumere la carica - a fare il ministro o il sottosegretario. Sono incompatibili tutti gli imprenditori che esercitano attività professionale e tutti i lavoratori autonomi (commercianti, artigiani, tabaccai, idraulici, gommisti, falegnami, elettricisti, bagnini, parrucchieri, estetisti e via lavorando); sono incompatibili tutti i liberi professionisti (avvocati, notai, geometri, architetti, ingegneri; anch'io che sono giornalista pur senatore non potrei proprio ambire a far parte del governo); sono incompatibili tutti i dipendenti di imprese private; e finalmente - magari questo piacerà a qualche mio amico artigiano - sono incompatibili tutti i dipendenti pubblici, compresi tutti gli insegnanti.
Non va proprio bene che una legge così sia voluta dall'Imprenditore d'Italia, dall'Operaio d'Italia.

L'Azionista d'Italia salva i soldi, l'idraulico si ritrova senza clienti
In compenso emerge da questa legge la nuova figura dell'Azionista d'Italia, anche se essa non era in nessuno dei maxi manifesti.
È così che solo l'essere azionista "mero proprietario" consente di non avere un conflitto di interessi con cariche di governo. L'opportunità non riguarda solo l'Azionista d'Italia. Interpretando il nuovo spirito, la maggioranza ha cancellato - proprio qui in Senato - la distinzione tra piccoli azionisti ed azionisti di controllo. Sarà di grande soddisfazione per i pensionati italiani che hanno abbandonato i Bot per acquistare le azioni delle privatizzazioni, sapere che questo non li esclude alla carriera politica, anzi apre loro le possibili porte del governo perché li mette sullo stesso piano di Berlusconi.
Forse sono nelle "trasformazioni" delle promesse che ho elencate, le ragioni della lentezza con cui le norme sul conflitto di interessi stanno procedendo e che ci ha fatto pensare che il centro-destra non abbia proprio voglia di discutere questa legge. Non per la figuraccia per la parola non mantenuta, si capisce: dopo le figuracce che sta facendo il ministro Tremonti, tutti gli altri ministri - compreso Frattini, patrono della legge sul conflitto d'interessi - non hanno di che preoccuparsi. La Destra non ha voglia di discuterla perché sa che anche questa legge è l'esatto contrario di quello che aveva promesso. Per questo il possibile referendum abrogativo, che essa ragionevolmente determinerà, troverà ampi consensi tra i cittadini italiani.
Proprio la paura di un referendum abrogativo nel 2003 ha fatto tirare il freno alla maggioranza: essa sa che non potrà sostenere a viso aperto nell'opinione pubblica la legge "Chi non lavora, governi".
Sarà interessante - ad esempio - durante la campagna referendaria sentire il ministro Frattini spiegare in televisione un'idea che non è scritta nella legge, ma che giustifica a suo modo di dire la scelta di mettere al governo chi non lavora. Il ministro Frattini ripeterà che chi fosse costretto a rimuovere la sua situazione di azionista rilevante di una grande impresa poi non può recuperarne il controllo. Insomma avrebbe un danno non recuperabile. Tutti gli altri innece hanno danni recuperali.
A sentire tale valutazione l'artigiano si guarderà in giro e - se ad esempio è un idraulico - si chiederà quanti dei suoi clienti aspetterebbero che lui torni dall'aver fatto il ministro, tenendosi il riscaldamento che non funziona o il rubinetto che perde. Concluderà che per lui fare il ministro significherà trovarsi senza clienti e dover ricominciare da capo. Concluderà che il "mero proprietario" di azioni, che dovesse vendere l'azienda per fare il presidente del Consiglio, si ritroverebbe con tutti i suoi soldi - e magari di più - mentre l'artigiano avrà rinunciato alla sua vera ricchezza, cioè i clienti.
In base alla legge sul conflitto di interessi, la prospettiva per l'artigiano è quella che si avrà in pratica, mentre l'Azionista d'Italia non avrà nemmeno il problema di vendere l'azienda.

L'assoluzione popolare non è mai avvenuta
Non è esattamente la parità prevista dalla Costituzione e l'hanno motivatamente dimostrato alcuni colleghi già intervenuti in questo dibattito. Non è esattamente l'idea di pari opportunità per tutti e di crescita collettiva che faceva balenare la Destra in campagna elettorale e che in parte ha determinato la sua vittoria alle elezioni.
Vittoria elettorale non numerica. Anche questo è stato detto nel corso del dibattito, ma va ripetuto prima che la giaculatoria del consenso popolare diventi un dogma.
Per giustificare la scarsa attenzione del governo e della maggioranza verso la legge sul conflitto di interessi, questa giaculatoria è stata in questi mesi recitata con questo ritornello: Berlusconi era in conflitto di interessi prima del 13 maggio 2001, la maggioranza degli italiani lo ha votato, Berlusconi è stato "assolto" dal voto popolare; amen.
Ma quel 13 maggio la maggioranza degli italiani non ha votato per il centro-destra. Contando i voti dei cittadini l'attuale presidente del consiglio è in minoranza. Utilizzando lo schema della giaculatoria del consenso popolare, potremmo dire che la maggioranza degli italiani ha "condannato" il conflitto di interessi di Berlusconi.
Naturalmente noi non utilizziamo le giaculatorie, perché non potremmo concludere con: amen. Non abbiamo i numeri che ha la maggioranza. Il sistema elettorale ha infatti determinato la composizione delle Camere e determina il fatto che oggi esse possano approvare una legge come questa. Una legge che è esattamente il contrario anche di quello che la maggioranza continua a sventolare come uno spauracchio. Qualche epigono della propaganda archeologica l'abbiamo ascoltato anche in questo dibattito: ha parlato di esproprio proletario, riferendosi alle proposte dell'Ulivo. I meno truculenti si sono lamentati che l'Ulivo voglia una legge fatta su misura del presidente del Consiglio per punirlo di essere diventato ricco con il sudore della sua fronte; ci si accusa di voler fare una legge riferita ad una persona sola.
Però è esattamente quello che sta facendo la maggioranza: questa non è una legge che riguarda tutti, è una legge che fotografa la posizione di Silvio Berlusconi, ne prende le misure del portafoglio e lo assolve da ogni possibile conflitto di interessi.

Il conflitto di interessi arriva anche per posta
Di questa assoluzione Berlusconi ha bisogno. Perché si realizzi il suo motto "Lasciateci governare", bisogna infatti eliminare i dubbi che possono continuamente sorgere nell'opinione pubblica.
Ecco uno di questi dubbi, che è venuto ad un cittadino della mia provincia di Padova. Egli mi ha mandato una posta elettronica per pormi "un quesito che mi è balzato all'occhio alcuni giorni or sono".
"Qualche settimana fa - egli mi scrive - a tutte le famiglie del mio quartiere, e quindi presumo a molte altre famiglie in Italia, è arrivato un bellissimo opuscoletto cellofanato. Conteneva le "Pagine Utile" di Padova e Provincia. È arrivato anche a colleghi di lavoro che risiedono in provincia di Treviso (presumo l'edizione di Treviso). Tutti nel condominio erano soddisfatti del librettino patinato e pieno di inserzioni pubblicitarie.
""Pagine Utili" è edito da Pagine Italia Spa, Centro direz. Milano 2, Segrate, MI e stampato da Mondadori.
"Si tratta, se non erro, di Aziende riconducibili al Presidente del Consiglio e fino a qui nulla di male... Se non fosse per il fatto che dentro il cellofan c'era una brochure, a cui nessuno ha fatto caso, intestata col logo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Ufficio Centrale per l'orientamento e la formazione professionale dei lavoratori, Vicolo d'Aste,12 - 00159 Roma. Il tutto recapitato tramite invio postale senza indirizzo ad ogni utente di poste italiane.
"Spero vivamente che il suddetto inserto sia stato distribuito gratuitamente a fin di bene dall'editore di "Pagine Utili", senza alcun lucro. Sappiamo infatti che gli invii a scopo pubblicitario hanno costi notevoli...
"E se invece tramite questa piccola ed innocente operazioncina il Ministero del Lavoro avesse distribuito, in parte o del tutto, a sue spese le "Pagine Utili" a tutti gli italiani? Avrebbe certamente fatto un "utile" servizio al suddetto editore al quale i proventi della raccolta pubblicitaria e delle inserzioni su "Pagine Utili" sarebbero stati al netto delle spese di spedizione... No, impossibile... Senza dubbio l'editore di "Pagine Utili" ha dato un contributo alla campagna divulgativa del Ministero del Lavoro senza alcun onere per il Ministero stesso.
"Al di là delle battute, il dubbio resta. Le chiedo pertanto di vedere se fra i suoi impegni c'è un po' di spazio per verificare questa mia curiosità e per capire come veramente sia la storia delle "Pagine Utili". Sarei molto felice se fosse tutto regolare perché, purtroppo, in questo periodo si è sempre portati a "pensar male"".
Ho già risposto al cittadino che la sua idea che sia stato l'editore a fare una specie di "Pubblicità Progresso" al Ministero del Lavoro, magari al fine di far raggiungere più rapidamente l'obiettivo del presidente del Consiglio per... milioni di posti di lavoro in più, non ha riscontro nella prassi commerciale.
Ma al di là dei dubbi, resta la dimostrazione di come l'attività di governo si presti a possibili conflitti di interesse se non c'è la trasparenza della distinzione tra funzioni; se non c'è l'interruzione dell'interesse economico quando si sceglie l'interesse politico, cioè l'interesse di tutti.

L'informazione: cuore del conflitto di interessi
La lettera elettronica del cittadino padovano è interessante anche perché sottolinea implicitamente un altro elemento rischioso della situazione attuale: l'episodio si riferisce ancora una volta al cuore del conflitto di interessi, cioè alla concentrazione di strumentazione mediatica e di rappresentanza politica. Se un editore può anche determinare condizioni particolari non solo nella produzione ma anche nella distribuzione dell'informazione, si aggiunge potere a potere che una democrazia matura ha il diritto e il dovere di evitare a vantaggio di tutti i soggetti che intendano oggi ed in futuro partecipare alla vita democratica.
Questa legge è insufficiente anche perché non affronta in modo convincente il cuore del conflitto di interessi, quello che riguarda la determinazione del consenso. Non è una questione solo della politica.
Anche questo è un tema sul quale i cittadini sono attenti. Essi hanno dimostrato di essere gelosamente attaccati alla possibilità di cambiare le loro scelte politiche e soprattutto di poter evitare posizioni egemoniche quando queste diventano sfacciatamente provocatorie. Ne abbiamo avuto conferma alle ultime elezioni amministrative. Il centro-destra si è consolato del recente magro risultato elettorale dicendo che esso è dipeso dalla scelta dei candidati. Il centro-destra sa che non è così: i magri risultati - almeno per quanto riguarda il Veneto che è la situazione che conosco direttamente - sono la conseguenza della imposizione dei candidati, cioè del tentativo di egemonia che si è perpretato nei confronti di alcune comunità locali.
Una legge fotocopiata su Berlusconi, che consacra anche il suo predomino mediatico non sarà accettata dai cittadini. Essi possono accettare le televisioni della Fininvest ed anche difenderle. Ma vogliono essere liberi di sceglierle. Vogliono poter spegnere una tv e trovarne una diversa, se ne hanno voglia.
Il punto essenziale è questo: la libertà di scelta dei cittadini.
Certo la concentrazione mediatica che oggi esiste in Italia è essa stessa una condizione grave per la democrazia nel nostro paese. Ma non ne faccio il tema del mio intervento, non solo perché altri lo hanno efficacemente affrontato, ma anche perché ho una opinione positiva della gran parte di noi cittadini italiani: abbiamo dimostrato in più occasioni di saperci difendere dalla propaganda, sia diretta che indiretta del potere mediatico. Su questo potere la Destra aveva fatto conto per stravincere le elezioni dello scorso anno ed invece è stato dimostrato che la Destra ha vinto più per un utilizzo produttivo dei meccanismi elettorali che per il messaggio con cui si era dilungata ad imbonire gli italiani.
Ripeto: il punto essenziale da assicurare anche attraverso la regolamentazione del rapporto tra politica ed informazione è la possibilità dei cittadini di accendere una televisione e di trovarvi qualcosa di diverso da quella che hanno appena spenta.
Collegata a questa possibilità di scegliere cosa ricevere, c'è la possibilità di partecipazione dei cittadini alla "costruzione" del messaggio che attraverso i media viene veicolato. Questo secondo aspetto, in particolare, richiede un bilanciamento delle risorse finanziarie. La concentrazione mediatica, rafforzata da grandi interessi pubblicitari, mette invece in discussione la possibilità di scambio di opinioni nella nostra società. Ed è questo che i cittadini italiani non sopporteranno. Non perché siano in maggioranza "espropriatori", ma perché non vogliono essere espropriati di una normale condizione democratica, proprio da chi - come è il capo del governo - è per condivisa opinione eletto a garantire la democrazia.

Il commissario europeo Monti sostituirà l'Antitrust italiano?
Il dibattito ci riguarda come italiani, ma ci interessa anche come europei. Come possiamo - ad esempio - partecipare alla definizione del sistema europeo delle comunicazioni con un presidente del Consiglio che anche a livello comunitario si troverebbe in conflitto di interessi nel sostenere una scelta piuttosto che un'altra? Toccherà al commissario europeo alla Concorrenza, Mario Monti, prendere atto che Berlusconi dovrà spesso astenersi dal decidere in questa materia (anzi adesso dovrebbe farlo ancora più spesso visto che ha due incarichi).
Non è che dobbiamo preoccuparci dell'Europa. È che dobbiamo essere in condizione di determinare le politiche europee in un settore strategico, in un settore nel quale c'è una parte del nostro futuro. Il sistema televisivo infatti è destinato a giocare un ruolo importante sia nella diffusione delle tecnologie sia nella creazione di un comune sentire europeo a cominciare da una coiné linguistica che diventerà decisiva con l'allargamento. Rischiamo di essere senza voce o di essere ascoltati con diffidenza.
Perderemo così non solo una posizione industriale, ma anche una posizione culturale. Come potremo ad esempio sostenere il posto ed il ruolo della lingua e della cultura italiane nel sistema televisivo europeo, se la produzione in lingua italiana sarà riconducibile ad un unico potere non solo economico, ma anche politico?
I cittadini europei sono abituati per tradizione o per legge ad una netta separazione degli interessi politici dagli interessi economici; è una "abitudine democratica" diffusa, che si estende dalla Spagna alla Finlandia, dal Regno Unito all'Austria. I cittadini europei e i loro governi non potranno né vorranno intervenire nelle nostre questioni, ma non accetteranno che le nostre regole vadano a modificare le loro.
C'è allora il rischio che gli inutili poteri che, in tema di conflitto di interessi, il disegno di legge attribuisce all'Autorità per le comunicazioni, vengano sostituiti dai poteri del commissario europeo alla concorrenza. Vogliamo metterci in questa condizione?
Non sarà ragionevole aspettarci che da qualche parte in Europa quello che ora in Italia viene definito il "mero proprietario" azionista di riferimento di una società venga invece chiamato per quello che è effettivamente, e cioè proprietario e basta? E che dunque qualche imprenditore di media, ma anche di pubblicità, ma anche di finanza denunci la posizione dominante che la somma tra potere economico e potere politico fa detenere a Silvio Berlusconi e chieda quindi alla Commissione europea di ripristinare le condizioni di concorrenza vera in Italia?
Dovremmo vedere il presidente del Consiglio italiano dover riconoscere il conflitto di interessi non per libera scelta, non per rispetto del Parlamento italiano, ma per obbedire alle normali leggi del libero mercato?
Di questo dovremmo discutere, mentre si sta scrivendo la Costituzione europea ed è a questa che dovremmo essere attenti, come italiani, ai suoi contenuti di libertà, di pari opportunità, di coesione sociale?

Il comune sentimento del pudore democratico
Avrebbe potuto essere, anche questa legge, una buona occasione per portare un originale contributo su questo tema di democrazia e libertà al dibattito europeo. La maggioranza ha scelto una strada rischiosa che va esattamente nella direzione opposta. Sulla strada che ha intrapresa però la maggioranza si ritroverà i cittadini. E accanto ai cittadini ci saremo anche noi, parlamentari dell'Ulivo, parlamentari della Margherita.
Ci saremo per dire ai cittadini che da parte nostra confermiamo il loro diritto alla partecipazione vera alla democrazia.
Ci saremo per segnalare ai giovani che non tutti i politici ritengono inevitabile la commistione tra politica e interessi che questa legge codifica.
Ci saremo per sentirci dire che la politica è esigente, come ci ricorda costantemente il magistero della Chiesa; esige libertà; libertà anche da se stessi. Dunque richiede sacrificio.
So che questo non è un argomento giuridicamente rilevante, ma le leggi hanno anche un contenuto etico.
Questa legge, intitolata "Chi non lavora, governi", abbasserà, una volta approvata, il comune sentimento del pudore democratico. Accanto ai cittadini, la nostra opposizione vuole evitare che questo avvenga.

19 giugno 2002

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16 giugno 2002
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