
Lettera dal Senato. 58 /4 aprile 2002
Da dove cominciare a scegliere nella tragedia della Palestina
La pace è una scelta di giustizia
La rappresaglia non ha mai fatto giustizia, ha anzi aumentato le ragioni di ingiustizia, in una spirale in l'unica vincitrice è stata la morte
 di Tino Bedin
Eppure è la settimana di Pasqua. Eppure i cristiani hanno appena riascoltato di Ponzio Pilato e in cuor loro l'hanno biasimato. Eppure le domande dure, chiare di Giovanni Paolo II sulla Palestina sono rimaste senza risposta. George Bush non sceglie. Certo ha parlato, finalmente. Ha chiesto a Sharon di finire l'occupazione; ha chiesto di non umiliare un popolo. Ha parlato, ma non ha fatto. Ha rinviato alla settimana prossima la missione del segretario di stato. Sono tanti giorni, troppi per chi è prigioniero nella sua casa. Poteva fare: decidere subito un embargo militare, per esempio. Parlare mentre la Basilica della Natività è luogo di guerra, significa non scegliere. Anche Ponzio Pilato ha parlato, ha detto cose ragionevoli, ma non ha esercitato il potere che aveva; non ha scelto; e sapeva che non scegliendo condannava a morte un Innocente.
Da dove cominciamo per scegliere in questa tragedia che ci lascia sbigottiti?
Ho ascoltato il mio presidente del Consiglio ieri sera parlare da Mosca. Berlusconi ha detto che bisogna far finire che la guerra perché è "una ferita che può infettare" anche noi. È sempre molto immaginifico il mio presidente del Consiglio, ma non me la sento di considerare le persone che muoiono e che si straziano in Palestina come dei bacilli da debellare.
Mi viene da pensare che la tragedia di Palestina sia diventata un'insostenibile domanda per noi perché chi la pensa come Berlusconi ha accettato che israeliani e palestinesi fossero "portatori sani" di reciproca ingiustizia, non… contagiosi per noi e quindi non preoccupanti.
E invece "la pace non è la semplice assenza di guerra… ma è opera della giustizia", ci ricorda il Concilio nella "Gaudium et Spes". Ecco da dove partire. La politica deve cominciare da qui, scegliendo la giustizia. Solo contribuendo a fare giustizia sarà possibile che la guerra finisca.
Noi vediamo che non è giusto tenere in ostaggio l'intero popolo palestinese da parte di una autorità costituita. Noi sappiamo che la rappresaglia non ha mai fatto giustizia ed ha anzi moltiplicato le ragioni di ingiustizia e quindi reso inevitabili altre rappresaglie, in una spirale in cui nessuno potrà mai dire di aver vinto: l'unica vincitrice è sempre stata la Morte.
Un governo non può usare solo le armi. Sharon non usa i carri armati come uno strumento di pressione di un suo piano di pace. Non ha un piano di pace. Questo non è giusto neppure per il popolo israeliano: si ritroveranno assediati non solo dai senza storia palestinesi, da generazioni confinati in campi profughi; si sentiranno assediati dalla immensa tragedia che li ha coinvolti brutalmente, assediati dall'Olocausto che ne ha fatti delle vittime che non possono diventare rastrellatori di ragazzi e di bambini. L'ingiustizia dell'Olocausto ha dato cittadinanza perenne agli ebrei nella storia e nel cuore dell'umanità. Nessun loro governante ha in diritto di privarli di questa cittadinanza rinunciando a praticare la giustizia.
A Betlemme c'è una comunità delle nostre suore Dorotee, le suore "maestre di Santa Dorotea", padovane e vicentine soprattutto. "È triste aspettare inutilmente i bambini che non possono arrivare a scuola perché le strade sono state distrutte e, quindi, interrotte! Non ci si mette a parteggiare per un fronte o per l'altro, non si ragiona su chi ha torto o su chi ha ragione, ma si convive con chi è più debole, con le mamme preoccupate per il futuro dei loro bambini, per l'angoscia che opprime dovendo forzatamente rimanere in casa per dieci giorni a causa dell'imposizione del coprifuoco (non è facile, soprattutto per i piccoli), con l'ansia dei padri che hanno perso il loro luogo di lavoro e con il denaro che comincia a scarseggiare, con il pensiero di tanti giovani che vogliono andarsene in cerca di tranquillità. Di chi sarà questa terra? ". Scrivevano così il giorno di Pasqua le suore Dorotee, quando i carri armati non erano ancora arrivati a Betlemme. Cosa penseranno questa sera?
Altri consacrati, i frati del convento della Natività hanno usato il cellulare per chiedere al mondo di non essere lasciati soli.
Bisogna andare. I primi parlamentari italiani andati in Israele sono stati respinti. La delegazione ufficiale dell'Unione Europea, al più alto livello, è stata di fatto respinta. Bisogna andare. Lo ha detto il Parlamento italiano. E al Parlamento hanno fatto eco le Regioni italiane e i Comuni italiani. La rappresentanza degli italiani sa cosa vogliono gli italiani.
Stamattina sono stato ad una manifestazione dei giornalisti del nord-est contro le iniziative governative sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Mi è venuto di cominciare il mio intervento così: "Adesso, in questo momento, la prima fondamentale battaglia che dobbiamo fare come politici, come giornalisti è a favore delle centinaia di migliaia di lavoratori che in Palestina sono stati di fatto licenziati per la più ingiusta delle cause, la guerra".
Tino Bedin
Roma, 4 aprile 2002 |