TINO BEDIN

Lettera dal Senato. 54 /2 settembre 2001

Costa molto e a pagarlo non sarebbero solo gli Usa

Lo scudo spaziale americano
come
le mura veneziane di Padova?
L'adesione di Berlusconi mette in discussione la solidarietà europea

di Tino Bedin

Ho dedicato una delle serate padovane d'agosto ad una visita al bastione di Castelnuovo, uno dei punti più imponenti e meglio conservati della cinta muraria veneziana di Padova. Per costruire quella cinta, i veneziani hanno abbattuto gran parte delle mura medievali della città (poco male per quei tempi; moltissimo invece il danno per i nostri giorni), ma hanno anche tirato giù tutte le case non solo che si trovavano lungo il perimetro delle mura ma anche quelle che per centinaia di metri oltre le mura potevano impedire la vista alla vedette od offrire un riparo ai colpi che dalle cannoniere dei bastioni i veneziani volevano sparare agli assalitori (questa demolizione sì aggiunse altre sofferenze a quei tempi, senza procurare qualche vantaggio culturale per i nostri giorni).
Si trattò di un'opera costosissima; così costosa che perfino i veneziani finirono i soldi e non costruirono mai in "nuovo castello" di Padova che pure avevano progettato. Quel costo appare ancora più elevato, se si pensa che furono soldi investiti per la… prevenzione: infatti nessun nemico dichiarato obbligava i veneziani a far spendere ai padovani tanto denaro per difendersi. Il nemico era del tutto ipotetico; talmente ipotetico che i cannoni del bastione di Castelnuovo non… spararono mai un colpo (non c'è traccia di fumo e di vibrazioni sulle pareti), perché il nemico non arrivò mai. Se ne affacciò uno, solo per una volta, ma dalle parti di viale Codalunga: fu sconfitto e non se ne parlò più.
Come George W. Bush e (nel suo piccolo) Silvio Berlusconi. I veneziani non erano certamente poco avveduti; avevano anche un governo abbastanza democratico per quei tempi, nel senso che c'era un buon numero di cittadini a controllare le decisioni. Tuttavia in quella occasione si fecero prendere dalla fregola di chi è ricco e potente: spendere (e soprattutto far spendere) tanti soldi per dimostrare che sei ricco e diventare ancora più potente.
Per questo sulla golena del Piovego in una serata d'agosto mi è venuto in mente George W. Bush e il suo progetto militare di scudo spaziale, che costerà 131 miliardi di dollari. Al suo fianco (ma senza neppure uno… scudetto, perché il Milan non vince da un pezzo) sta il nostro Silvio Berlusconi. Il giorno dopo la conclusione del più famoso G8, quello di Genova, c'è stata infatti a Roma la dichiarazione congiunta di Italia e Stati Uniti a favore dello scudo spaziale.
L'adesione italiana al programma di riarmo militare attraverso una nuova difesa antimissile, a questo investimento militare così consistente - avvenuta anche superando "opposizioni antidiluviane di alcuni partner europei", come ha detto il nostro presidente del Consiglio - è molto preoccupante. Il dibattito qualche settimana fa è durato poco, perché è stato sommerso dalle preoccupazioni per la inefficace gestione dell'ordine pubblico a Genova da parte del ministro dell'Interno. Ora però bisogna riprenderlo, prima che l'avvallo dato da Berlusconi diventi una effettiva svolta della politica estera e di sicurezza che l'Italia repubblicana ha perseguito da sempre.
Anche chi non vota per Bush pagherà la "tassa spaziale" di Bush. La prima questione, a mio parere, è proprio quella da cui sono partito, quella dei costi. Per questo le inutilmente imponenti mura veneziane di Padova mi hanno fatto pensare a Bush.
Nell'epoca della globalizzazione nessun governo e tanto meno un governo democratico può farsi prendere dalla fregola dei ricchi; c'è un diritto reale - anche se non ancora codificato - dei popoli nel loro insieme a valutare le spese che incidono sulla loro vita.
Facciamo un confronto di attualità, legato al G8: il progetto di scudo spaziale costa cento volte l'impegno di spesa preso a Genova per la lotta all'Aids. Il confronto non vuole determinare una scelta moralistica, ma evidenziare che si tratta della scelta sul tipo di società verso la quale si punta. Guerra spaziale e guerra all'Aids sono entrambi due sfide di "frontiera" dal punto di vista scientifico; anche massicci finanziamenti all'industria farmaceutica e alle università per questa seconda guerra faranno progredire complessivamente la ricerca scientifica e le tecnologie mediche ed ambientali. Si tratta di scegliere: in questo caso tra la ricerca per la salute e la ricerca per gli armamenti.
La questione dei costi poi riguarda non solo chi ha i soldi, tanti soldi, ma anche chi ne ha meno, molti meno. La decisione americana potrebbe indurre Paesi come Russia e Cina, ma anche stati nucleari come l'India e il Pakistan, a riprendere la corsa al riarmo, distogliendo risorse dalla loro crescita sociale, ancora insufficiente. Così anche le popolazioni che non votano per Bush sarebbero costrette a "pagare le tasse" a Bush per il suo scudo spaziale.
Può ripartire al corsa al riarmo. La seconda questione in campo è quella più propriamente militare. L'adesione italiana allo "scudo americano" è avvenuta solo ventiquattro ore dopo Genova, cioè dopo una riunione dei ministri degli Esteri del G8 in cui invece si poneva l’accento sulle politiche di prevenzione dei conflitti, non su come alimentarli.
Dove sarebbero i nostri nemici, i nemici per cui l'Italia sta nello scudo spaziale? Sarebbero nel Mediterraneo? Non mi pare: il ruolo svolto dall'Italia in questi anni è stato quello di favorire il dialogo e la riduzione delle tensioni nell'area del Mediterraneo e del Medio Oriente.
Dove sarebbero i nemici dell'umanità, i nemici degli Stati Uniti? Sono forse in quegli che l'Amministrazione americana definisce "Stati canaglia"? Sarebbero nella Corea del Nord? È contro questi che si vuole dispiegare uno strumento costosissimo, la cui funzionalità è tutta da accertare, mentre è già noto il rischio di corsa al riarmo, cui una rottura unilaterale del trattato ABM sui missili balistici nucleari, potrebbe portare a livello mondiale?
Solo lui sa "come va il mondo"? La terza questione è la posizione che l'Italia ha in Europa. Preferire un asse privilegiato con gli Stati Uniti significa incrinare gravemente una politica che ha, da cinquant'anni, ancorato l'azione dell'Italia all'Europa. Con una virata di tale portata alla vigilia dell'entrata in vigore dell'euro e mentre si discute la costruzione dell'Europa politica, l'Italia rischia in Europa di restare isolata. Nessun Paese europeo ha compiuto una svolta come quella prefigurata dall'Italia. Lo stesso presidente Bush ha voluto apprezzare l'intervento di Berlusconi, che ha definito "molto rapido" nel cambiare le posizioni e nel creare una condizione di discontinuità con la tradizionale politica estera italiana.
Queste posizioni del Governo italiano finiscono, oggettivamente, per rallentare il processo di integrazione europea. Le reazioni dei Governi e dei Parlamenti dell'Europa segnalano che questa consapevolezza si sta diffondendo in Europa. Non sono gli altri a non aver capito che è cambiato il mondo, come presuntuosamente dice Berlusconi. Forse è vero il contrario. La prudenza degli altri Governo europei è dettata dalla consapevolezza dei rischi sociali e militari di un progetto dai contorni ancora incerti che comporta la militarizzazione dello spazio.
Il Parlamento deve rimediare. Anche partendo da questo versante lo sforzo del Parlamento dovrà essere quello di imbrigliare un protagonismo governativo che cerca rapporti preferenziali, che finiscono per irritare proprio quei Paesi con cui stiamo cercando di costruire un'entità politica europea, alla vigilia della circolazione della moneta unica, della nostra nuova moneta italiana. È questo il punto più urgente al quale le commissioni Difesa ed Esteri di Senato e Camera dovranno lavorare, perché l'Italia non può permettersi l'isolamento in Europa e l'Europa non può permettersi un'Italia che frena.
Ma anche sugli altri due punti occorre un'azione di "diplomazia parlamentare", che rafforzi la capacità dell'Italia si essere elemento di serio dialogo e di progresso, non parte in causa nella sfida non dichiarata ma in corso tra Nord e Sud del mondo.

Tino Bedin

Padova, 2 settembre 2001

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