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Lettera dal Senato. 50
9 marzo 2001

Finisce una legislatura finalmente normale
L'Italia assomiglia
un po' di più a Padova
di Tino Bedin

E' finita la tredicesima legislatura repubblicana. Ne sono contento. Sono contento di aver contribuito come parlamentare, per la mia parte, a far finire la legislatura cinque anni dopo che era cominciata. Noi parlamentari eletti il 23 aprile 1996 resteremo a rappresentare i nostri concittadini addirittura per qualche settimana oltre l'anniversario di quelle elezioni. Non è… normale e non era scontato che il Parlamento avesse la capacità politica ed operativa di rispettare il mandato per cui era stato eletto. Ci siamo riusciti, non sopravvivendo a noi stessi ma continuando a confrontarci e a decidere fino all'ultimo giorno.
Ne sono contento anche come cittadino. Per questo ne parlo con voi. Non è stata infatti senza conseguenze per la società italiana la continua interruzione prematura di gran parte delle legislature. Centinaia di volte nella mia attività parlamentare ho letto che il provvedimento che stavo esaminando era già stato discusso e magari votato nella legislatura precedente e in quella prima e anche in quella ancora precedente, ma non si era arrivati a far nulla "per la conclusione anticipata della legislatura". Penso a leggi importanti, dal punto di vista della vita delle persone, come quella sui disabili, che abbiamo approvata ammodernando le norme alla situazione attuale del lavoro e delle famiglie. Ho in mente i titoli che anno dopo anno, per decenni, ho fatto da giornalista su quel… "provvisorio" esame di maturità, che ora è davvero cambiato, ha una sua struttura non sperimentale.
Una legislatura normale fa bene anche alla democrazia. Poiché non è il tempo che è mancato, se alcune decisioni non sono state prese vuol dire che non c'era il consenso sufficiente; o che le proposte non erano ben articolate; o che alcuni interessi sono stati più forti di alcune ragioni. Una politica senza alibi, consente ai cittadini di giudicare meglio; rende più trasparente la rappresentanza democratica.
Un "rendere conto" continuo. La "trasparenza" delle nostre decisioni parlamentari è forse l'esigenza che più ho avvertita in questi cinque anni. Il principio del "rendere conto" è una delle componenti del metodo elettorale uninominale maggioritario che cittadini (singoli e associati stabilmente o su alcuni problemi) hanno costantemente utilizzato nei confronti dei parlamentari, nei miei confronti.
Di questo desidero ringraziare i miei concittadini: quelli del grande collegio senatoriale di Este che va da Codevigo a Montagnana a Vò Euganeo; ma più in generale i padovani, perché alla fine Padova è pur sempre una piccola provincia e le speranze e le delusioni sono condivise nella Bassa come nell'Alta e vivere può essere faticoso o piacevole sia in riva alla Laguna che sul pendio degli Euganei.
Li ringrazio perché è nata dal "dialogo" continuo con loro una parte rilevante del mio impegno parlamentare. Dico dialogo perché nella stragrande maggioranza delle occasioni non ero io che parlavo, ma la gente; a me toccava non di raccontare quello che Roma faceva o pensava, ma di raccontare a Roma quello che Padova faceva e pensava. Quasi ogni settimana mi sono portato da Padova i miei "compiti per Roma": poche "pratiche", ma molte idee. Idee che sono entrate nella legge nazionale in molti casi. I perfezionamenti che abbiamo introdotti per trovare uno sbocco alla produzione di latte, ad esempio, sono nati a Padova. Grandi decisioni, come quelle riguardanti il rinnovo delle concessioni autostradali, sono state accompagnate dalla prospettiva di una specifica ricaduta per lo sviluppo della viabilità nella Bassa Padovana. Sono solo due dei molti esempi che ho in mente.
Ora l'Italia assomiglia un po' di più a Padova rispetto a cinque anni fa: credo che il vantaggio sia per i padovani, ma soprattutto per tutti gli altri italiani.
Un dialogo con strumenti diretti. Di questi obiettivi, di questi impegni, dei risultati ho fatti partecipi i miei concittadini, direttamente, personalmente. Ho utilizzato il dialogo più che la "conferenza stampa". Questa "Lettera dal Senato" porta il numero 50: essa è arrivata 50 volte ad un numero non piccolo di cittadini, non sempre gli stessi, perché ho cercato di individuare il tema che per ciascuno poteva essere interessante e soprattutto produttivo di osservazioni per me.
Non è stata l'unica… lettera. Ricordo in particolare il dialogo continuo con le scuole materne paritarie della nostra provincia, dove s'incontrano vite di famiglie, impegno educativo di religiose e di laiche, atti di fede di preti. Ci siamo tenuti informati reciprocamente per rendere il loro impegno più facile, ma soprattutto perché la Repubblica lo riconoscesse come parte del patrimonio di tutti. La legge sulla parità scolastica l'ho votata con convinzione, soprattutto pensando alle nostre scuole materne e alle lettere di molte suore.
Negli anni ho progressivamente accresciuto l'utilizzo della posta elettronica: consente di arrivare in tempo reale a fornire risposte o a ricevere indicazioni, ma soprattutto è "circolare", è un'andata e ritorno plurale non singolare.
Ho anche allestito il sito internet www.euganeo.it per rendere trasparenti la mia attività e le mie opinioni; per offrire materiale di discussione; per collegare meglio il Palazzo in particolare ai giovani. Sono stato fra i primi parlamentari italiani a farlo; il mio essere giornalista probabilmente non è estraneo a questa scelta, ma ho voluto portare il mio contributo alla grande rivoluzione democratica di cui internet può diventare lo strumento. Possiamo realizzare delle grandi assemblee democratiche in grado di conoscere per intero i problemi e di esprimere le loro opinioni. Con la tv si ascolta, con internet si partecipa.
Internet è vivo, però, se si tengono ben vivi gli incontri diretti con i cittadini che vogliono parlare, come abbiamo fatto in questi cinque anni. Uso il plurale, abbiamo, perché quest'ultima attività non è quasi mai stata personale; nella maggior parte dei casi gli incontri pubblici, le assemblee di animatori politici, i confronti con categorie sono stati organizzati insieme tra i rappresentanti parlamentari del territorio. Penso alla costanza con cui con Luisa Calimani, con Sergio Manzato, con Gianni Saonara in numerosi comuni dei Colli e dell'Estense e del Piovese abbiamo anno dopo anno presentato e discusso la legge finanziaria, come momento annuale di verifica dell'impegno ed occasione per impostare il nostro lavoro nei mesi successivi.
Un gioco di squadra. Il consenso ricevuto ha consentito infatti a deputati e senatori dell'Ulivo di fare un autentico gioco di squadra. Ciascuno nella propria commissione, nella propria competenza parlamentare, si è impegnato anche a nome degli altri, senza concorrenza, senza gelosia. Eletti sotto un unico simbolo, quello dell'Ulivo, abbiamo valorizzato lo spirito della coalizione e non quello della pur ricca ed interessante provenienza.
Ciò è avvenuto per interventi "specifici" o per grandi leggi di riforma. Penso al gioco di squadra che con Luisa Calimani ho fatto per arrivare alla approvazione della riforma del termalismo (una di quelle per cui le legislature… non bastavano mai), provvedimento ovviamente atteso nel bacino termale euganeo. Decisiva è stata l'attività che io al Senato e Gianni Saonara alla Camera abbiamo svolta prima per definire i contenuti della legge sulla subfornitura, sulla base di motivate sollecitazioni che ci venivano dagli artigiani in conto-terzi del Piovese, e poi per superare le difficoltà che contro questa legge settori potenti dell'economia hanno messe di traverso. Con Sergio Manzato ricordo l'azione complementare che ha consentito di riservare al grande patrimonio delle mura di Montagnana una cospicua dote di miliardi. Sono solo tre esempi tra i molti di collaborazione con i tre deputati del mio collegio senatoriale. Ma è solo un capitolo della collaborazione tra parlamentari dell'Ulivo. Con il senatore Paolo Giaretta, ad esempio, abbiamo lavorato su due aspetti (cooperazione internazionale e debito pubblico) del tema dei Paesi poveri sul quale la Chiesa di Padova ha una tradizione ed una dedizione profonde. Il deputato Dino Scantamburlo ha trovato in Senato la collaborazione per arrivare al finanziamento della Statale del Santo.
Il rispetto del patto preso con le famiglie. Raccontandovi di come ho fatto il parlamentare, vi ho anche ricordato alcuni degli obiettivi per cui ho lavorato. Anche su questo è giusto che i miei concittadini giudichino.
"Più lavoro. Più famiglia. La vita cambia la politica". Avevo riassunto in questo slogan il "patto" con le famiglie della Bassa padovana e dei Colli Euganei nel momento in cui mi candidavo a rappresentarle al Senato cinque anni fa.
"È con le famiglie - avevo scritto sul foglietto con la mia foto - che intendo sottoscrivere un patto, perché è in famiglia che iniziano e si concludono i fatti che contano nella nostra vita:
? il lavoro, quello dipendente e quello autonomo, va costruito come valore familiare e non solo come elemento del mercato;
? la solidarietà, che appartiene alla tradizione dei cattolici democratici nella quale mi sono formato, dovrà esprimersi soprattutto attraverso un fisco su misura della famiglia, che valorizzi alcuni suoi diritti essenziali: la prima casa, l’istruzione dei figli, il tempo per educare, la salute, la cura degli anziani;
? la pace, da proporre ai giovani come servizio alla patria; da promuovere sul pianeta con la cooperazione allo sviluppo che dia speranza nella propria terra a chi viene oggi a cercarla tra noi".
Oggi nella società padovana c'è più lavoro. Oggi nelle leggi c'è più famiglia. La vita quotidiana ha davvero cominciato a cambiare la politica. Penso, ad esempio, all'Irpef sulla casa in cui si abita, costruita con il risparmio e spesso con la scommessa sul futuro: non si paga più. Il senso comune della vita ha avuto ragione sia delle obiezioni finanziarie che delle opposizioni "di principio". Non è insomma solo uno "sconto fiscale": è un'idea di società che si è affermata. Per questo la cito.
La decisione rivoluzionaria di fare a meno della leva militare entra in quel "patto per la pace", perché riconosce che non è solo con le armi che si è cittadini italiani. Ma anch'essa nasce ancora dal senso comune della vita, che da tempo suggeriva alla politica la scarsa produttività di un anno di vita sia per i diretti interessati che per la società. Anche la vita de giovani ha cambiato la politica.
Una sfida dentro di noi. Lo ha potuto fare perché in questi cinque anni, tutti insieme, abbiamo vinto una sfida che era comune, era "dentro" la nostra gente: abbiamo vinto la sfida della secessione del Veneto dall'Italia. L'abbiamo vinta in positivo: ancorando strettamente la nostra regione all'Europa attraverso la moneta unica.
Abbiamo vinto la secessione rendendo più leggero lo Stato, più vicine le decisioni. Il bollino di rinnovo della patente ora arriva a casa (e non si perde più mezza giornata di lavoro per un timbro all'Ufficio patenti della questura). Le decisioni su come distribuire le scuole sul territorio non dipendono più da Roma, come nel 1996, ma da Padova.
La solidarietà si è espressa nel mondo con la cancellazione o la riduzione del debito estero dei paesi più poveri. Tra di noi italiani la solidarietà ha trovato molte occasioni: quella cui tengo di più è la legge sui "congedi parentali", cioè quella che fa del tempo una risorsa non solo per guadagnare ma anche per stare meglio in famiglia. Cito il debito dei poveri e i congedi parentali perché spiegano come nelle leggi abbiamo cercato di far esprimere la solidarietà con lo spirito tipico dei veneti che della solidarietà hanno fatto ragione di cambiamento e non di assistenza.
Ciò è avvenuto anche per il lavoro che in provincia di Padova non solo è cresciuto, ma è anche cambiato e sta cambiando. Penso in particolare al "lavoro indipendente", quello delle imprese personali o dei giovani "della partita Iva". La spinta maggiore che mi è venuta dal dialogo con i concittadini era il riconoscimento anche fiscale del loro impegno. Personalmente mi sono impegnato anche per la serenità di queste famiglie-impresa, attraverso norme innovative sulle società artigiane che distinguendo meglio lavoro da famiglia evitano apprensioni e rischi.
Si può continuare più agilmente. Non basta quello che si è fatto, certo. Non sempre la vita delle persone l'ha avuta vinta. Ma ora - dopo cinque anni - l'impegno preso nel 1996 è forse più agevole, perché più condiviso, perché una parte di quello che allora era il futuro oggi è realtà.

Tino Bedin

9 marzo 2001


9 marzo 2001
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