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Lettera dal Senato. 47di Tino Bedin
E' possibile pensare al futuro nel pieno di una catastrofe che molti dei protagonisti
hanno definita "biblica"? E' giusto pensare al futuro mentre in tutta l'Unione
Europea crolla un intero settore alimentare, travolgendo i produttori di carne bovina, i
trasformatori, i distributori, i macellai, i consumatori? L'esperienza legislativa mi
farebbe propendere per il no; essa testimonia che è già complicato, costoso e dagli
esiti incerti rimuovere le macerie provocate dalla mucca pazza e puntellare le parti che
non sono crollate.
Saldatura fra produttori e consumatori. E tuttavia il parlamento non può sottrarsi
al futuro, perché già l'opinione pubblica ha compiuto un salto culturale in queste
settimane. Ormai si è saldata una coincidenza piena tra l'interesse del consumatore e
quello del produttore agricolo. Questa saldatura richiede la rigenerazione dell'intero
settore produttivo della carne bovina. Tutte le istituzioni cui è affidato questo settore
(l'Unione Europea, lo Stato, le Regioni) sono chiamate a decidere subito, con coerenza e
con lungimiranza. Sono chiamate a progettare il futuro.
Sono chiamate anche a costruirlo insieme alla società: mi riferisco qui non solo alla
concertazione con le parti economiche colpite (già avvenuta e tuttora in corso), ma anche
ad un "piano di comunicazione istituzionale". Si tratta di una scelta urgente,
con cui coinvolgere sia l'Italia che il mercato estero. Anche in seguito alla diversità
di risultati delle analisi, ma soprattutto di fronte alla incompleta cronaca che in
particolare la tv propone, la società deve essere messa in condizione di avere le
informazioni che le servono per scegliere. L'insieme delle misure di cui oggi il
consumatore italiano dispone, dicono che l'Italia non si è fatta sorprendere e che ha
saputo e sa partecipare alla più generale difesa che l'Unione Europea ha messo in atto
sia per contrastare la diffusione del morbo, sia per cominciare ad alleviare le
conseguenze della malattia sul settore della carne bovina. I risultati dei test stanno
dimostrano la diffusa qualità della produzione e dei produttori italiani. Sia la
comunicazione istituzionale che l'intervento di sostegno nell'emergenza devono perciò
rafforzare questa situazione, indirizzandosi agli allevatori che hanno garantito la totale
ed assoluta salute delle proprie bestie. In questo modo l'intervento per l'emergenza
diventa già il primo capitolo del per il futuro.
Rigenerare il patrimonio bovino. Trattandosi di materia nella quale la competenza,
non solo legislativa ma anche operativa, è giustamente europea, non era ragionevole
procedere per proprio conto e occorreva arrivare a determinazioni comuni, contribuendo
innanzi tutto a definirle e poi a realizzare per quanto di competenza. Dopo il consiglio
agricolo di lunedì 29 gennaio a Bruxelles, credo che ormai sia sufficientemente chiaro il
quadro per intervenire con tempestività e determinazione anche sulle gravi conseguenze
determinatesi in Italia a causa della Bse con una proposta di carattere organico che
risponda ad alcune esigenze fondamentali:
- garantire la sicurezza alimentare con l'adozione di tutte le misure necessarie al fine
di evitare incertezze o confusione a danno dei consumatori e degli allevatori;
- mettere gli allevatori in condizione di superare l'emergenza e di fronteggiare con
sostegni adeguati i danni derivanti alle loro aziende dal crollo del mercato;
- inserire i provvedimenti di emergenza in un piano pluriennale di carattere strutturale
per concentrare il massimo delle risorse finanziarie su un intervento globale di
rigenerazione (attraverso la riconversione e il ringiovanimento degli allevamenti) del
patrimonio zootecnico nazionale, valorizzandone la qualità e la competitività sul
mercato interno ed internazionale.
Sicurezza non solo in stalla. E stato proposto di istituire un fondo speciale
di rigenerazione del patrimonio zootecnico per il finanziamento di piani di sviluppo
aziendali che prevedano l'abbattimento volontario e la concessione di credito agevolato
per finanziare sistemi di certificazione, ampliamento degli allevamenti estensivi,
sviluppo della linea vacca-vitello, adozione dei disciplinari di produzione, sviluppo di
razze autoctone, rispetto delle norme ambientali e del benessere degli animali.
Sotto il profilo della sicurezza alimentare occorre adottare provvedimenti di controllo
capillare dei mangimifici e dei fornitori di materie prime ed attivare al più presto
sistemi di certificazione dei prodotti e dei sistemi di etichettatura. Si registrano da
più parti gravi ritardi nella realizzazione dellanagrafe bovina: è chiaro invece
che essa rappresenta la strada obbligata per la certificazione di tutta la filiera che
garantisca i consumatori, la ripresa dei consumi e quindi luscita dalla crisi di
mercato.
Ma ci si preoccupava della pizza. In questo l'Italia deve mantenere e rafforzare il
legame con le politiche europee in materia. La catastrofe della mucca pazza ha dimensioni
e contenuti tali da dover costituire l'occasione di cambiamenti nella politica europea.
Mantenere e rafforzare il legame con le politiche dell'Unione significa dunque contribuire
con determinazione, originalità e trasparenza a queste politiche.
Il primo, concreto banco di prova di queste politiche è l'aspetto economico. Dal
Consiglio agricolo di lunedì 29 gennaio è emerso che il finanziamento delle misure da
prendere per affrontare la situazione allarmante del mercato della carne bovina rischia di
superare il bilancio comunitario. I costi stimati delle misure supereranno il margine di
1,23 miliardi di euro disponibili nel bilancio del 2001. L'esborso non solo non deve
essere imputato esclusivamente al settore zootecnico, ma neppure deve essere imputato
integralmente al solo bilancio agricolo dell'Unione Europea.
L'altro punto sul quale l'Italia deve collaborare a determinare nuove scelte europee è
quello della produzione alimentare. Questa è l'occasione perché in un settore così
rilevante si parta dal consumatore e dalle sue esigenze. Sarà un approccio rivoluzionario
per l'Unione Europea. In questi anni il Parlamento italiano è stato impegnato dall'Unione
Europea in battaglie incomprensibili ai cittadini italiani e a quelli dell'Unione a
proposito di presunte mancanze di sicurezza igienica nella produzione di alimenti tipici
sia di massa (ad esempio la pizza) sia di nicchia (ad esempio il formaggio di fossa o le
cacciotte di malga).Ma mentre si discuteva sull'altezza delle piastrelle lavabili nei
luoghi di produzione di questi alimenti, si lasciava libero commercio alla farine animali.
Il confronto fra i due diversi atteggiamenti serve a segnalare l'indispensabile
cambiamento di indirizzo a vantaggio vero del consumatore.
Riduzione della produzione di bovini? Il terzo banco di prova è costituito dalla
materia stessa che è oggetto della crisi: la carne bovina. Infatti, a margine della
riunione del Consiglio agricolo del 29 gennaio, il commissario europeo all'agricoltura
Franz Fischler ha richiamato l'attenzione dei ministri sulla situazione del mercato molto
più allarmante ancora di quanto era stato inizialmente previsto. Fischler ha anche
lanciato un appello a nuove misure per limitare in futuro la produzione di carne bovina
nell'Unione.
Non voglio qui entrare nella questione fondamentale, cioè quella della quantità di carne
bovina di cui l'Unione Europea ha bisogno oggi ed avrà bisogno una volta che sia iniziato
e completato l'allargamento. Fin da ora però devono essere chiare nella trattativa in
sede comunitaria almeno due questioni.
Innanzi tutto, la eventuale riduzione della produzione bovina nell'Unione deve essere
modulata secondo parametri che non danneggino ulteriormente proprio quei paesi che
attualmente sono deficitari di produzione di carne bovina; se cioè si procedesse ad una
riduzione proporzionale della attuale produzione, il rischio di ripetere con la carne il
paradosso del latte sarebbe elevatissimo. LItalia è già deficitaria nel settore
della carne bovina e se non simprime una svolta, il disavanzo commerciale è
destinato ad aumentare, con il rischio di importare prodotti dallestero che non
hanno adeguate garanzie sanitarie e di qualità.
Ed è questo il secondo punto della discussione europea: bisogna chiedersi, e chiedere, se
sia ragionevole che in questi mesi l'Europa metta in campo una quantità impressionante di
risorse sia finanziarie che scientifiche per rendere sicura la propria carte e così
garantire i propri cittadini, per poi importare carni bovine da aree nelle quali non solo
non può in alcun modo esercitare la propria giurisdizione ed il proprio controllo, ma
addirittura che per ragioni di commercio internazionale potrebbero essere esentati da
norme condivise in Europa. Già avviene in sede di Organizzazione mondiale del commercio.
Passare alle proteine vegetali. E' un tema da inserire nella trattativa di fatto
non iniziata a Seattle, ma che intanto qualche passo sta facendo a Ginevra.
In quella sede, quella della Organizzazione mondiale del commercio va posto anche un altro
tema che la vicenda della mucca pazza propone all'Europa. L'eliminazione delle farine
animali nell'alimentazione dei bovini richiede che l'Unione Europea si indirizzi verso la
loro sostituzione con proteine vegetali. Secondo gli ultimi dati ufficiali della
Commissione europea, nel corso della campagna 1999-2000, lUnione europea ha prodotto
17,7 milioni di tonnellate di proteine vegetali. Il consumo europeo è dellordine
dei 51,7 milioni di tonnellate di proteine vegetali, coperto per i due terzi
essenzialmente dalle importazioni provenienti dagli Stati Uniti, dallArgentina e dal
Brasile.
Non credo che la soluzione sia quella di aumentare ulteriormente la dipendenza
dall'estero. L'Unione Europea ha interesse ad accrescere la propria produzione di farine
proteiche vegetali, sia per valorizzare i propri terreni sia per procedere alla
sostituzione di questo tratto della filiera agroindustriale oggi in crisi. Credo che
occorra impegnare l'Unione Europea ad inserire nella trattativa agricola in corso a
Ginevra nell'ambito del Millennium Round una revisione degli accordi tra Ue e Usa che
preveda un aumento della superficie europea destinata alla coltivazioni di piante
destinate alla alimentazione bovina e che questa superficie poi sia suddivisa fra i
singoli stati.
A livello interno dell'Unione occorrerà rivedere le previsioni di Agenda 2000 in materia
e i meccanismi colà previsti. Anche le regioni possono giocare un ruolo importante, se
attiveranno i programmi di sviluppo rurale introdotti da Agenda 2000 dove si prevede
l'applicazione di misure agroambientali, oltre alla possibilità di avviare programmi
speciali per il girasole e la colza primaverile.
Tino Bedin
22 gennaio 2001
31
gennaio 2001 webmaster@euganeo.it |
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il
collegio senatoriale di Tino Bedin |