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Lettera dal Senato. 47
22 gennaio 2001
La catastrofe della mucca pazza
Cibi da mangiare,
non solo da vendere
L'Unione Europea è di fronte a scelte innovative nelle sue politiche alimentari: il contributo dell'Italia all'emergenza per i produttori, ma anche alle decisioni europee

di Tino Bedin

E' possibile pensare al futuro nel pieno di una catastrofe che molti dei protagonisti hanno definita "biblica"? E' giusto pensare al futuro mentre in tutta l'Unione Europea crolla un intero settore alimentare, travolgendo i produttori di carne bovina, i trasformatori, i distributori, i macellai, i consumatori? L'esperienza legislativa mi farebbe propendere per il no; essa testimonia che è già complicato, costoso e dagli esiti incerti rimuovere le macerie provocate dalla mucca pazza e puntellare le parti che non sono crollate.
Saldatura fra produttori e consumatori. E tuttavia il parlamento non può sottrarsi al futuro, perché già l'opinione pubblica ha compiuto un salto culturale in queste settimane. Ormai si è saldata una coincidenza piena tra l'interesse del consumatore e quello del produttore agricolo. Questa saldatura richiede la rigenerazione dell'intero settore produttivo della carne bovina. Tutte le istituzioni cui è affidato questo settore (l'Unione Europea, lo Stato, le Regioni) sono chiamate a decidere subito, con coerenza e con lungimiranza. Sono chiamate a progettare il futuro.
Sono chiamate anche a costruirlo insieme alla società: mi riferisco qui non solo alla concertazione con le parti economiche colpite (già avvenuta e tuttora in corso), ma anche ad un "piano di comunicazione istituzionale". Si tratta di una scelta urgente, con cui coinvolgere sia l'Italia che il mercato estero. Anche in seguito alla diversità di risultati delle analisi, ma soprattutto di fronte alla incompleta cronaca che in particolare la tv propone, la società deve essere messa in condizione di avere le informazioni che le servono per scegliere. L'insieme delle misure di cui oggi il consumatore italiano dispone, dicono che l'Italia non si è fatta sorprendere e che ha saputo e sa partecipare alla più generale difesa che l'Unione Europea ha messo in atto sia per contrastare la diffusione del morbo, sia per cominciare ad alleviare le conseguenze della malattia sul settore della carne bovina. I risultati dei test stanno dimostrano la diffusa qualità della produzione e dei produttori italiani. Sia la comunicazione istituzionale che l'intervento di sostegno nell'emergenza devono perciò rafforzare questa situazione, indirizzandosi agli allevatori che hanno garantito la totale ed assoluta salute delle proprie bestie. In questo modo l'intervento per l'emergenza diventa già il primo capitolo del per il futuro.
Rigenerare il patrimonio bovino. Trattandosi di materia nella quale la competenza, non solo legislativa ma anche operativa, è giustamente europea, non era ragionevole procedere per proprio conto e occorreva arrivare a determinazioni comuni, contribuendo innanzi tutto a definirle e poi a realizzare per quanto di competenza. Dopo il consiglio agricolo di lunedì 29 gennaio a Bruxelles, credo che ormai sia sufficientemente chiaro il quadro per intervenire con tempestività e determinazione anche sulle gravi conseguenze determinatesi in Italia a causa della Bse con una proposta di carattere organico che risponda ad alcune esigenze fondamentali:
- garantire la sicurezza alimentare con l'adozione di tutte le misure necessarie al fine di evitare incertezze o confusione a danno dei consumatori e degli allevatori;
- mettere gli allevatori in condizione di superare l'emergenza e di fronteggiare con sostegni adeguati i danni derivanti alle loro aziende dal crollo del mercato;
- inserire i provvedimenti di emergenza in un piano pluriennale di carattere strutturale per concentrare il massimo delle risorse finanziarie su un intervento globale di rigenerazione (attraverso la riconversione e il ringiovanimento degli allevamenti) del patrimonio zootecnico nazionale, valorizzandone la qualità e la competitività sul mercato interno ed internazionale.
Sicurezza non solo in stalla. E’ stato proposto di istituire un fondo speciale di rigenerazione del patrimonio zootecnico per il finanziamento di piani di sviluppo aziendali che prevedano l'abbattimento volontario e la concessione di credito agevolato per finanziare sistemi di certificazione, ampliamento degli allevamenti estensivi, sviluppo della linea vacca-vitello, adozione dei disciplinari di produzione, sviluppo di razze autoctone, rispetto delle norme ambientali e del benessere degli animali.
Sotto il profilo della sicurezza alimentare occorre adottare provvedimenti di controllo capillare dei mangimifici e dei fornitori di materie prime ed attivare al più presto sistemi di certificazione dei prodotti e dei sistemi di etichettatura. Si registrano da più parti gravi ritardi nella realizzazione dell’anagrafe bovina: è chiaro invece che essa rappresenta la strada obbligata per la certificazione di tutta la filiera che garantisca i consumatori, la ripresa dei consumi e quindi l’uscita dalla crisi di mercato.
Ma ci si preoccupava della pizza. In questo l'Italia deve mantenere e rafforzare il legame con le politiche europee in materia. La catastrofe della mucca pazza ha dimensioni e contenuti tali da dover costituire l'occasione di cambiamenti nella politica europea. Mantenere e rafforzare il legame con le politiche dell'Unione significa dunque contribuire con determinazione, originalità e trasparenza a queste politiche.
Il primo, concreto banco di prova di queste politiche è l'aspetto economico. Dal Consiglio agricolo di lunedì 29 gennaio è emerso che il finanziamento delle misure da prendere per affrontare la situazione allarmante del mercato della carne bovina rischia di superare il bilancio comunitario. I costi stimati delle misure supereranno il margine di 1,23 miliardi di euro disponibili nel bilancio del 2001. L'esborso non solo non deve essere imputato esclusivamente al settore zootecnico, ma neppure deve essere imputato integralmente al solo bilancio agricolo dell'Unione Europea.
L'altro punto sul quale l'Italia deve collaborare a determinare nuove scelte europee è quello della produzione alimentare. Questa è l'occasione perché in un settore così rilevante si parta dal consumatore e dalle sue esigenze. Sarà un approccio rivoluzionario per l'Unione Europea. In questi anni il Parlamento italiano è stato impegnato dall'Unione Europea in battaglie incomprensibili ai cittadini italiani e a quelli dell'Unione a proposito di presunte mancanze di sicurezza igienica nella produzione di alimenti tipici sia di massa (ad esempio la pizza) sia di nicchia (ad esempio il formaggio di fossa o le cacciotte di malga).Ma mentre si discuteva sull'altezza delle piastrelle lavabili nei luoghi di produzione di questi alimenti, si lasciava libero commercio alla farine animali. Il confronto fra i due diversi atteggiamenti serve a segnalare l'indispensabile cambiamento di indirizzo a vantaggio vero del consumatore.
Riduzione della produzione di bovini? Il terzo banco di prova è costituito dalla materia stessa che è oggetto della crisi: la carne bovina. Infatti, a margine della riunione del Consiglio agricolo del 29 gennaio, il commissario europeo all'agricoltura Franz Fischler ha richiamato l'attenzione dei ministri sulla situazione del mercato molto più allarmante ancora di quanto era stato inizialmente previsto. Fischler ha anche lanciato un appello a nuove misure per limitare in futuro la produzione di carne bovina nell'Unione.
Non voglio qui entrare nella questione fondamentale, cioè quella della quantità di carne bovina di cui l'Unione Europea ha bisogno oggi ed avrà bisogno una volta che sia iniziato e completato l'allargamento. Fin da ora però devono essere chiare nella trattativa in sede comunitaria almeno due questioni.
Innanzi tutto, la eventuale riduzione della produzione bovina nell'Unione deve essere modulata secondo parametri che non danneggino ulteriormente proprio quei paesi che attualmente sono deficitari di produzione di carne bovina; se cioè si procedesse ad una riduzione proporzionale della attuale produzione, il rischio di ripetere con la carne il paradosso del latte sarebbe elevatissimo. L’Italia è già deficitaria nel settore della carne bovina e se non s’imprime una svolta, il disavanzo commerciale è destinato ad aumentare, con il rischio di importare prodotti dall’estero che non hanno adeguate garanzie sanitarie e di qualità.
Ed è questo il secondo punto della discussione europea: bisogna chiedersi, e chiedere, se sia ragionevole che in questi mesi l'Europa metta in campo una quantità impressionante di risorse sia finanziarie che scientifiche per rendere sicura la propria carte e così garantire i propri cittadini, per poi importare carni bovine da aree nelle quali non solo non può in alcun modo esercitare la propria giurisdizione ed il proprio controllo, ma addirittura che per ragioni di commercio internazionale potrebbero essere esentati da norme condivise in Europa. Già avviene in sede di Organizzazione mondiale del commercio.
Passare alle proteine vegetali. E' un tema da inserire nella trattativa di fatto non iniziata a Seattle, ma che intanto qualche passo sta facendo a Ginevra.
In quella sede, quella della Organizzazione mondiale del commercio va posto anche un altro tema che la vicenda della mucca pazza propone all'Europa. L'eliminazione delle farine animali nell'alimentazione dei bovini richiede che l'Unione Europea si indirizzi verso la loro sostituzione con proteine vegetali. Secondo gli ultimi dati ufficiali della Commissione europea, nel corso della campagna 1999-2000, l’Unione europea ha prodotto 17,7 milioni di tonnellate di proteine vegetali. Il consumo europeo è dell’ordine dei 51,7 milioni di tonnellate di proteine vegetali, coperto per i due terzi essenzialmente dalle importazioni provenienti dagli Stati Uniti, dall’Argentina e dal Brasile.
Non credo che la soluzione sia quella di aumentare ulteriormente la dipendenza dall'estero. L'Unione Europea ha interesse ad accrescere la propria produzione di farine proteiche vegetali, sia per valorizzare i propri terreni sia per procedere alla sostituzione di questo tratto della filiera agroindustriale oggi in crisi. Credo che occorra impegnare l'Unione Europea ad inserire nella trattativa agricola in corso a Ginevra nell'ambito del Millennium Round una revisione degli accordi tra Ue e Usa che preveda un aumento della superficie europea destinata alla coltivazioni di piante destinate alla alimentazione bovina e che questa superficie poi sia suddivisa fra i singoli stati.
A livello interno dell'Unione occorrerà rivedere le previsioni di Agenda 2000 in materia e i meccanismi colà previsti. Anche le regioni possono giocare un ruolo importante, se attiveranno i programmi di sviluppo rurale introdotti da Agenda 2000 dove si prevede l'applicazione di misure agroambientali, oltre alla possibilità di avviare programmi speciali per il girasole e la colza primaverile.

Tino Bedin

22 gennaio 2001


31 gennaio  2001
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