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Il
commissiaramento alla Provincia di Padova
Senza
la stabilità della giunta
restavano solo
le incertezze del presidente
La
decisione politicamente scorretta di Renzo Sacco
ha comportato lo scioglmento anticipato del consiglio
per evitare conseguenze più gravi alle istituzioni
La Provincia di Padova non ha più una amministrazione
elettiva. La prima esperienza di elezione diretta del presidente
della Provincia si è conclusa anzitempo, con lo scioglimento del
consiglio provinciale e il conseguente "licenziamento"
di Renzo Sacco.
Siamo di fronte ad uno dei casi che il sistema di elezione
diretta e l'ancoraggio del consiglio alla persona indicata agli
elettori probabilmente non aveva previsti. Il principio di legare
la sopravvivenza dei consigli (comunali e provinciali) alla
permanenza in carica del sindaco o del presidente della provincia
era stato introdotto per evitare che una serie di cambiamenti
all'interno del consiglio comunale finissero con il rendere
ingovernabili gli organismi elettivi ed esponessero quindi gli
esecutivi ad ogni cambiamento di fronte.
Nessuno aveva potuto immaginare che alla Provincia di Padova si
sarebbe verificato esattamente il contrario: un consiglio
provinciale esposto all'incertezza derivante dai continui
cambiamenti di posizione del presidente. E' questo il paradosso
che alla fine ha portato alla conclusione anticipata (anche se di
poco) della rappresentanza democratica dei cittadini padovani. La
"stabilità" del consiglio, determinata in buona misura
dalla stabilità del gruppo consiliare del Partito Popolare, e la
stabilità di una giunta, i cui esponenti hanno nella forma e
nella sostanza mantenuto coerenza nelle alleanze e soprattutto
nei programmi, ha fino ad oggi compensato questa instabilità di
Renzo Sacco. Ad un certo punto questo non è stato più
possibile, non per decisione della maggioranza o della giunta, ma
perché Sacco ha ritenuto di "eliminare" uno degli
elementi di stabilità, appunto tutta la giunta che egli aveva
nominato. La maggioranza dei consiglieri provinciali ha a questo
punto valutato che non fosse assolutamente possibile procedere
senza più riferimenti ed alle incertezza continue di una
presidente ha posto fine con la "stabilità" del
commissariamento.
La sostituzione di tutti gli assessori provinciali a sei mesi
scarsi dalle elezioni è apparentemente corretta: tocca al
presidente indicare la squadra che lo aiuterà a realizzare il
programma. Ma è una correttezza solo apparente, solo formale,
proprio perché la legge era stata fatta a tutela della
stabilità programmatica e non poteva prevedere il caso opposto.
Politicamente illegittima.
Nella sostanza è invece una scelta illegittima. Renzo Sacco
infatti non è stato eletto in una "lista del
presidente" di cui sia ancora esponente o in cui abbia
riferimenti. Egli era stato candidato dalla Lega Nord in una
coalizione del Popolari con la Lega nel 1995. Al ballottaggio
aveva potuto contare sullapparentamento dei Verdi e anche
sull'appoggio della sinistra.
Da allora Sacco ha rinunciato, uscendovi formalmente, al legame
con la Lega Nord (salvo poi tentare un recupero negli ultimissimi
giorni). Ha rinunciato anche al legame con parte della Lega che
non riteneva coerente il progetto secessionista: ad un certo
punto ha "licenziato" l'assessore Maurizio Previati, di
indicazione leghista, anche lui non secessionista. Ha quindi
continuato a cercare riferimenti politici nazionali e locali
(dalla Pivetti a Cacciari) senza mai porsi come il riferimento
politico almeno della parte della coalizione che lo aveva
sostenuto nei due turni elettorali. E' arrivato a fare gruppo
consiliare con il suo antagonista del Polo alle elezioni
provinciali (dopo che questi aveva riconosciuto che la
prospettiva scelta nel 1995 non era adeguata alle esigenze della
società padovana).
Basta tutto questo per dire che nel momento in cui rinuncia a
confrontarsi con la sua coalizione, Renzo Sacco, eletto dalla
politica e dai partiti, resta senza nessuna rappresentanza
democratica effettiva e quindi anche la sua potestà di fare e
disfare la giunta diventa illegittima se usata contro la
rappresentanza.
Istituzionalmente scorretta.
C'è poi un aspetto temporale che mette in luce la
insostenibilità della scelta di Renzo Sacco. Sulla base dei
tempi amministrativi ed elettorali la sua decisione è venuta
infatti nel momento in cui non era più possibile sciogliere il
consiglio e votare immediatamente nel turno amministrativo già
convocato per novembre. Questo comporta che si va comunque alla
scadenza naturale dell'amministrazione, con una sola essenziale
differenza: il presidente di fatto governa da solo, non ha
bisogno in questi pochi mesi di una maggioranza in consiglio
provinciale; sulla base dei poteri che la legge gli conferisce è
in grado di fare nomine e di dare indirizzi di grande rilievo,
senza nessun confronto; praticamente senza controllo.
Anche in questo caso è scorretto stiracchiare le regole
istituzionali fino a questo punto; utilizzare quanto previsto per
la stabilità ai fini della decisione solitaria. Era una
eventualità che non era possibile consentire. Ai consiglieri non
è rimasto altro che procedere al "licenziamento" di se
stessi e quindi del presidente. Se la decisione di Sacco doveva
portare ad un governo solitario era giusto che questo governo
fosse assolutamente tecnico, capace di evitare scelte impegnative
per la prossima amministrazione e di precostituire condizioni
difficilmente superabili in futuro.
Ferita al federalismo. C'è
un elemento sul quale è opportuno richiamare l'attenzione:
l'assoluto non tenere conto del particolare momento di impegno,
anche di positiva novità che la Provincia poteva vivere. Grazie
alle leggi sul federalismo a Costituzione invariata, che il
governo Prodi ha proposto e sta realizzando, la Provincia ha
assunto e sta assumendo compiti rilevanti: basti pensare
all'autonomia scolastica e alla gestione del mercato del lavoro.
Anche in settori tradizionali, come la promozione economica, la
provincia ha oggi più di ieri qualcosa da dire e da fare. La
stessa nuova capacità operativa affidata ai comuni abbisogna di
un ente di coordinamento e di supporto, là dove le dimensioni
dei comuni non sono adeguate (pensiamo alla gestione del catasto
edilizio). Ebbene proprio in questo memento viene meno la guida
politica della provincia di Padova.
Potevano essere questi i mesi non solo di alcune realizzazioni ma
soprattutto i mesi nei quali si approfondivano e si
sperimentavano soluzioni, in modo che le prossime amministrazioni
comunali e la prossima amministrazione provinciale potessero
disporre non solo di norme di legge ma anche di esperienze fatto
sul campo e potessero quindi partire tempestivamente nella loro
progettazione e nella loro azione dopo le elezioni della prossima
primavera.
Anche non aver compreso questo importante momento è un motivo
per cui è stato bene che Renzo Sacco non rimanesse dov'era.
Almeno si potrà fare qualche innovazione tecnica. La
rappresentanza democratica verrà dopo: troverà, almeno, non un
campo ingombro di incertezze o di macerie.
Tino Bedin
20 ottobre 1998
16/11/1998 webmaster@euganeo.it |
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il collegio senatoriale
di Tino Bedin |