L'ATTUALITÀ COMMENTATA

Anche nei paesi più vicini agli Usa cresce l'incertezza
Chi è pronto a spendere per cacciare Saddam dall'Iraq?
Gli infuriati agricoltori australiani e il ministro inglese dell'economia cominciano a porre la domanda: perché la guerra?

di Tino Bedin

Gli australiani dovevano sentirsi sufficientemente lontani dall'Iraq per permettersi di seguire apertamente la dottrina Bush su Saddam Hussein. Hanno dovuto ricredersi: il governo di Bagdad ha bloccato le importazioni di grano dall'Australia, rischiando di far perdere ai coltivatori locali un giro d'affari da 420 milioni di euro. Ovviamente gli agricoltori australiani sono infuriati con il loro governo e si chiedono perché proprio l'Australia debba essere in prima fila nel criticare l'Iraq. È una delle ultime notizie che riguardano il "fronte" iracheno. La richiamo non perché è curiosa, ma perché motiva - più di ogni ragionamento politico - l'interesse che per i cittadini, anche per noi cittadini italiani e veneti ha lo scontro tra Usa e Iraq già oggi, ma molto di più se esso dovesse arrivare alla guerra vera e propria. Uno degli obiettivi della politica estera e militare americana nella campagna contro l'Iraq pare infatti acquisito: negli Usa, in Europa, nello stesso Medio Oriente i governanti pongono ormai la questione del quando si farà la guerra, delle condizioni perché essa inizi; si fa conto che alla prima domanda, quella del "perché" di questa possibile guerra, sia già stato risposto. Ed implicitamente si sia anche risposto alle ragioni che dovrebbero far ritenere sopportabili dai cittadini, ad esempio europei ed italiani, le conseguenze della guerra. Gli infuriati agricoltori australiani segnalano al loro governo (ma anche a Blair, Chirac, Schroeder, Berlusconi) che il livello di sopportabilità è assai basso già sul piano economico: per l'Italia e l'Europa si tratterebbe, ad esempio, di un aumento significativo del costo dell'energia, con la riduzione del petrolio disponibile per le imprese ed i consumi individuali. Ma la sopportabilità calerebbe ancora di più sul piano della sicurezza. Oltre due terzi dei britannici sono contrari all'intervento del Regno Unito accanto agli Usa nella guerra contro l'Iraq, documenta un sondaggio della YouGov pubblicato oggi dal Daily Telegraph. Non hanno nessuna simpatia per Saddam Hussein (tre quarti lo considerano una minaccia per la stabilità internazionale), ma sono convinti che un attacco diffonderebbe proprio l'instabilità e il 90 per cento teme una ritorsione degli estremisti islamici contro obiettivi occidentali. Insomma la guerra infinita contro il terrorismo provocherà un terrorismo infinito. Abbiamo davanti la tragedia di Israele e della Palestina per non condividere questo dubbio. L'Europa - e per ragioni di politica interna l'Italia più degli altri membri dell'Unione - si trova in un periodo di decisioni economiche gravi; la stabilità dell'euro (e quindi degli stipendi, delle pensioni e dei prezzi), deve essere coniugata con rinnovate forme di presenza pubblica sia nel welfare che nelle infrastrutture. Già questo è un esercizio difficile. Siamo in condizione di pagare anche una guerra che non avremmo deciso? Gordon Brown che - sia detto senza offesa per lui - è in Inghilterra il corrispondente del nostro Giulio Tremonti, ha detto chiaramente al suo primo ministro Tony Blair che il governo deve scegliere fra ricostruire la vacillante rete di servizi pubblici britannici o distruggere l'Iraq. Il governo Blair ha un piano triennale di 67 miliardi di sterline per scuola, sanità trasporti e difesa: il ministro dell'economia dice che non può permettersi di spendere 6 miliardi di euro per cacciare Saddam. Gordon Brown come gli agricoltori australiani? E se i conti li stanno facendo proprio i più vicini agli Usa, non è il caso che il nostro Tremonti, il nostro Marzano (energia), il nostro Alemanno (agricoltura) comincino a fare qualche domanda al loro Martino (difesa)?

12 agosto 2002

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12 agosto 2002
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