
Da Severino Furlan, segretario Acli di Montagnana, un appello per una battaglia civica e ambientale
Il "tubo" del Fratta-Gorzone distribuisce i veleni nella Bassa Padovana
Mercoledì 20 marzo è preannunciata una Conferenza d'area di amministratori locali, associazioni, cittadini
Il fiume
Il Fratta-Gorzone costituisce una realtà ambientale tra le più critiche della Bassa Padovana. Questo fiume, che nasce dalla Roggia di Arzignano e percorre circa 100 km attraverso le province di Vicenza, Verona e Padova, assumendo nomi diversi a seconda del tratto (rio Acquetta, Togna, Fratta e Gorzone procedendo da monte a valle), è sottoposto a notevoli carichi inquinanti attribuibili a scarichi civili e industriali che compromettono gravemente lo stato ecologico e la possibilità di utilizzo delle sue acque.
L'inquinamento
La gravità della situazione non è emersa soltanto oggi, ma è cosa che si trascina da parecchi anni ed è documentata dai risultati ottenuti sulla base di indagini e campionamenti effettuati su più stazioni e in più anni lungo il corso d'acqua. All'inizio del 2000 la Regione ha approvato un "Piano di monitoraggio" per le acque superficiali correnti, che ha consentito di razionalizzare il monitoraggio dei corsi d'acqua del Veneto adeguandolo alle disposizioni del D.Lgs. 152/99 (che in Italia costituisce la legge quadro per la tutela delle acque).
Questo piano ha definito la collocazione delle stazioni di monitoraggio, il tipo e la frequenza dei campionamenti da effettuarsi lungo le aste fluviali (piano che è stato recentemente integrato attraverso l'introduzione di nuove stazioni e di un aumento nella frequenza dei campionamenti). Il quadro che è emerso, per quanto riguarda il Fratta-Gorzone, è uno tra i più preoccupanti del Veneto: su 13 stazioni (campionate mensilmente o con frequenza inferiore e posizionate direttamente sul Fratta o sui suoi affluenti), lo stato ambientale delle acque è risultato "sufficiente" per tre stazioni, "scadente" per 9 stazioni e addirittura "pessimo" per una stazione. Queste espressioni indicano un giudizio di sintesi sulla qualità delle acque che viene formulato considerando una varietà di descrittori e parametri, tra cui alcuni sono indicativi di un inquinamento di origine biologica, altri invece (cloruri, solfati e cromo) sono attribuibili univocamente all'attività dell'industria conciaria del basso Vicentino.
Queste informazioni sono di dominio pubblico, reperibili sul sito internet dell'Arpav (Agenzia per la Protezione Ambientale del Veneto)
La questione "tubo"
A giugno del 2000 è entrato in funzione un collettore di trasferimento (noto come tubo) dei reflui depurati negli impianti di Trissino, Arzignano M., Montecchio, Montebello e Lonigo. In pratica, i suddetti depuratori, che raccolgono gli scarichi (civili e delle concerie) e ne determinano un abbattimento del contenuto di alcune sostanze inquinanti, riversano tutti i loro reflui in questo tubo, che scarica sul Fratta poco a sud di Lonigo, dopo averli diluiti - così pare -con acque derivate dall'Adige.
Da un certo punto di vista il tubo, assieme al potenziamento dei depuratori, è un intervento che sta portando dei benefici: i corsi d'acqua sui quali prima i depuratori scaricavano separatamente stanno ovviamente migliorando da un punto di vista ecologico, in quanto il tubo fa si che essi vengano by-passati dall'inquinamento (soluzione questa anche apprezzabile, se si pensa che la zona scavalcata dal tubo è la più vulnerabile, in quanto zona di ricarica delle falde acquifere); ma qual è la situazione a valle? Ancora non si sa, anche se un miglioramento per effetto di diluizione sembra decisamente alquanto improbabile (e sicuramente non lo può essere per le zone immediatamente a valle del tubo).
Qualcuno, ironizzando su questa filosofia del "gettare l'immondizia di casa propria nel giardino del vicino" ha detto: "Perché non prolunghiamo il tubo direttamente a Chioggia? Così anche i comuni rivieraschi a valle di Lonigo se ne possono lavare le mani e stare più tranquilli!".
E' innegabile che il tubo sia un intervento che sposta l'inquinamento ai danni dei comuni che stanno più a valle e che non affronta il nodo della questione, ovvero i reflui civili e soprattutto gli scarichi del comparto conciario del Vicentino!
I costi ambientali
La produzione conciaria dell'alto vicentino è una attività caratterizzata da forti esternalità, ovvero da costi sociali e ambientali elevatissimi che vengono nettamente "dimenticati" nei bilanci di quelle industrie, ma che invece ricadono sulla collettività, nel nostro caso ai danni degli agricoltori (che si trovano di fronte a divieti di irrigazione), della desertificazione dei suoli, della qualità dei prodotti agricoli, della stessa salute umana (basti pensare all'ingresso delle sostanze inquinanti nel suolo e da qui nella catena alimentare!), della sostenibilità dell'intero ecosistema!
Le voci di protesta in questi ultimi mesi
- Luglio 2000: il sindaci di Zimella, Cologna e Pressana presentano ricorso al Tar contro l'entrata in funzione del tubo.
- Giugno 2001: una interrogazione alla Giunta Regionale presentata dai Verdi per chiedere un piano d'area di disinquinamento e recupero del fiume e del territorio.
- Agosto 2001: un esposto alla Procura di Padova da parte del Consorzio di Bonifica Euganeo mette in moto delle indagini che individuano nell'innesto del tubo un punto critico preoccupante.
- Ottobre 2001: Una mozione firmata dai comuni rivieraschi e presentata alla Regione per chiedere una serie di impegni collegati al tubo e l'adozione di un piano di risanamento.
Gli scenari
Queste proteste si sono concluse con esiti per nulla soddisfacenti. Siamo convinti che la soluzione del problema non sta dietro l'angolo e non è immediata; siamo convinti della necessità di preservare lo sviluppo economico del comparto conciario purché questo si esplichi secondo un modello di sostenibilità, in cui gli effetti ambientali siano effettivamente conteggiati all'interno del bilancio d'impresa, che dovrebbe prevedere, finalmente, l'adozione delle migliori tecnologie disponibili per l'abbattimento degli inquinanti, una ottimizzazione dell'uso delle risorse e una minimizzazione degli impatti.
L'industria delle conce deve avviare un processo di cambiamento di tendenza, che porti ad una maggiore tutela dell'ambiente!
Nuovi scenari si stanno aprendo sul futuro della concia; uno di questi è il recepimento della nuova direttiva europea sulla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (IPPC), che coinvolge anche questa tipologia di impianti e che tra un paio d'anni dovrebbe determinare una sorta di rivoluzione nel sistema di autorizzazione agli scarichi, prevedendo autorizzazioni integrate per i singoli impianti, studiate ad hoc per una protezione integrata di tutte le matrici ambientali (aria, acqua, suolo), che può realizzarsi soltanto attraverso l'adozione delle migliori tecnologie disponibili per l'abbattimento degli inquinanti e per la minimizzazione degli sprechi. A questo scopo sono stati già individuati percorsi di coinvolgimento (es.: il progetto Giada) del mondo dell'industria, degli enti per il controllo ambientale, delle comunità locali, dei GAL (gruppi di azione locale) attorno a un unico tavolo di discussione. La stessa legge 152/99 impone delle scadenze temporali (2008 e 2016) per il progressivo miglioramento dello stato ambientale dei corsi d'acqua a livelli ritenuti "accettabili".
Non vogliamo però che questi progetti rimangano fittizi, o che piuttosto abbiano soltanto l'esito di migliorare la qualità dell'immagine del mondo industriale che così mostrerebbe un interesse nei confronti dell'ambiente ma di fatto non riesce ad individuare delle soluzioni efficaci e realmente determinanti per la salvaguardia del fiume nel quale da anni si sta scaricando!
La proposta che stiamo discutendo coi sindaci rivieraschi è quella dell'auto-convocazione di amministrazioni civili e realtà economico-sociali sul tema del Fratta-Gorzone per trovare assieme una strategia di protesta. Già una ventina sindaci hanno aderito ed altrettanti associazioni di promozione civile e di categoria, tra cui noi, Italia Nostra ed altre.
Il manifesto dell'autoconvocazione
Il comunicato dell'Arpav
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