ECONOMIA E LAVORO

Com'è successo che nella parte più dinamica del pianeta si sia piantata la povertà generativa?
Essere madri è un nuovo diritto sociale
Una moderna lotta di libertà per "riprendere l'attività economica dalle radici, dalle radici umane"

di Tino Bedin

Questione individuale, in quanto originata da scelte culturali e comportamenti personali, e contemporaneamente questione collettiva con conseguenze, ad esempio, sulla produttività e sulla sostenibilità previdenziale, "il tema della natalità rappresenta una vera e propria emergenza sociale. Non è immediatamente percepibile, come altri problemi che occupano la cronaca, ma è molto urgente. (…) Non vedere il problema della denatalità è un atteggiamento miope; è rinunciare a vedere lontano, a guardare avanti. È girarsi dall'altra parte, pensando che i problemi siano sempre troppo complessi e che non si possa fare nulla. È, in una parola, arrendersi. (…) I dati, le previsioni, i numeri sono ormai noti a tutti: serve concretezza. È il momento di dare risposte reali alle famiglie e ai giovani: la speranza non può e non deve morire di attesa".
Sono passaggi del saluto del Santo Padre agli Stati generali della natività nel maggio del 2022 a Roma.

La periferia esistenziale nella parte più dinamica del pianeta. Oltre che sollecitare risposte collettive alla denatalità, in quello stesso saluto Papa Francesco sintetizza la componente personale della nuova grande questione sociale: "C'è una periferia esistenziale in Occidente, poco vistosa, che non si nota immediatamente. È quella delle donne e degli uomini che hanno il desiderio di un figlio, ma non riescono a realizzarlo. Molti giovani faticano a concretizzare il loro sogno familiare. (…) Questa è una nuova povertà che mi spaventa. È la povertà generativa. (…). È una povertà tragica, perché colpisce gli esseri umani nella loro ricchezza più grande: mettere al mondo vite per prendersene cura, trasmettere ad altri con amore l'esistenza ricevuta".
Com'è successo che nella parte più dinamica del pianeta si sia piantata questa periferia esistenziale e che essa continui ad allargarsi indipendentemente dai regimi politici (negli Usa come in Cina), dalle dimensioni demografiche (a Cipro come in Corea), dalle esperienze religiose e culturali (in Italia come in Giappone)?
Si può cominciare a rispondere con l'analisi contenuta nel "1° Rapporto Italia Generativa", curato dal Centre for the Anthropology of Religion and Generative Studies dell'Università Cattolica e presentato al Senato il 12 gennaio scorso.
Negli ultimi decenni, le società occidentali sono state modellate in modo sempre più pregnante da una cultura individualista legata all'affermazione della dottrina neoliberista (M. Magatti, 2018).
Anche in Italia l'evidente processo di progressiva individualizzazione ha prodotto, e sta tutt'oggi producendo, effetti importanti anche sul panorama demografico. È infatti di natura antropologica e culturale, oltre che sociale ed economica, la "crisi demografica" che sta attraversando il Paese e che vede un soggetto che fatica a mettersi in gioco nella generazione e rigenerazione di legami sociali innervati da reciprocità, fiducia, solidarietà e corresponsabilità. In una "società liquida" (Z. Bauman, 1999) caratterizzata da relazioni sempre più fluide e volatili, quella che si configura è una struttura sociale in cui è l'individuo ad essere centrale, con la sua presunzione di autonomia e indipendenza da preservare mediante rapporti sempre più sporadici, temporanei e strumentali (C. Giaccardi e M. Magatti, 2020)
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L'indifferenza per le conseguenze collettive delle scelte individuali. Lo slogan sessantottino "L'utero è mio e lo gestisco io", ritmato nell'Italia degli Anni Settanta, aveva contenuti propri e sfide specifiche in tema di procreazione; può tuttavia evidenziare l'affacciarsi socialmente e culturalmente della prevalenza dell'individuo sulla socialità e - più duramente - dell'indifferenza delle scelte individuali rispetto alle loro possibili conseguenze collettive. Aspetto questo fin da subito colto dalla teologa cattolica Adriana Zarri, critica nei confronti di quello slogan, non in riferimento alla legalizzazione dell'aborto ma proprio in riferimento alla supremazia dell'individuo: "Se anche io affermassi che il mio ventre mi appartiene, mi sentirei il padrone delle ferriere che dice: la mia fabbrica mi appartiene", scrive del 1975.
Contestualmente, alla fine di quegli Anni Settanta, la demografia registra il calo della fecondità italiana sotto il livello di sostituzione, cioè il valore di 2,1 figli per donna che garantisce l'equilibrio generazionale. Nei vent'anni successivi quel livello è crollato fino al minimo di 1,2 figli per donna. Poi è leggermente risalito, ma continua a rimanere sotto il valore di 1,5.
Traduciamo in persone questo indicatore demografico.
I bambini nati nel 2021 in Italia sono stati 399.431: mai così pochi dall'Unità d'Italia; i dati ufficiosi del 2022 registrano un ulteriore calo.
L'Italia è entrata nel declino demografico. Nel 2021 si sono contati 309.635 italiani in meno; l'anno prima erano già stati circa 350 mila in meno, anche a causa del Covid. L'unica volta che l'Italia aveva perso popolazione era stato tra il 1918 e il 1920 in conseguenza della Grande Guerra e della epidemia globale di influenza spagnola.
La riduzione delle classi di età - cominciata ovviamente dai bambini - è ormai arrivata alle donne comprese tra i venti e i cinquant'anni, cioè le madri potenziali: già ora l'età media delle donne alla nascita del primo figlio è in Italia più alta rispetto alla media dei Paesi europei (Rapporto Italia generativa). Per tornare all'equilibrio demografico non basterebbe quindi che le donne fertili raggiungessero il livello di sostituzione.

Restituire alle donne il diritto di essere madri. Come l'inverno demografico, anche la primavera delle culle si alimenterebbe di scelte personali e di decisioni collettive e avrebbe al centro la donna, i diritti della donna.
Sull'argomento Papa Francesco è chiarissimo: dentro all'inverno demografico "c'è la schiavitù della donna: una donna che non può essere madre perché appena incomincia a salire la pancia, la licenziano; alle donne incinte non è sempre consentito lavorare". Lo dice parlando di economia, lo dice parlando ai giovani del mondo di nuovo riuniti ad Assisi nel settembre scorso per "Economy of Francesco".
C'è un capovolgimento di prospettiva: ai giovani propone di lottare per restituire alle donne il diritto di essere madri, mentre molti dei loro genitori sono cresciuti pensando di dover liberare la donna dalla schiavitù della maternità; e propone loro di condurre questa moderna lotta di libertà da economisti, come uno dei modi per "riprendere l'attività economica dalle radici, dalle radici umane": cioè dalle donne e dagli uomini che lavorano.
Donne che nel lavoro realizzano se stesse e con il lavoro possono anche alimentare la loro aspirazione alla maternità. L'incremento dell'occupazione femminile è motore dell'incremento della natalità, perché il lavoro riduce l'incertezza sul futuro e riduce "il rischio di caduta in povertà che in Italia cresce all'aumento del numero dei figli: nel nostro Paese questa possibilità è più elevata che in diversi Stati dell'Europa" (Rapporto Italia generativa).
Il moderno diritto di essere madri non prevede "angeli del focolare", ma cittadine alle quali è riconosciuta la conciliazione tra lavoro e maternità, senza penalizzazioni retributive e di carriera.
Conciliazione che riguarda madri e padri, così come la stabilità lavorativa riguarda oggi anche i possibili padri.

29 gennaio 2023



la-094
Aggiornato: 4 marzo 2023
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Tino Bedin