ECONOMIA E LAVORO |
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Diario / LUNEDÌ 23 AGOSTO 2021 |
Una sua citazione a quattro anni dalla morte ![]() |
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Don Livio Destro: lavorare così mette paura a tanti in Veneto Papa Francesco continua il discorso proprio in questo agosto |
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![]() ![]() Sono stati anni anche del mio incarico parlamentare: il lavoro comune con don Livio Destro, iniziato quando io ero alla "Difesa del Popolo", diventa allora ricerca del bene comune fatta assieme, cercando di stare dalla parte delle persone senza potere. Succeduto a don Giuseppe Masiero, don Livio stava continuando una grande storia di Chiesa e di popolo che avevo conosciuta e raccontata, oltre che con don Giuseppe Masiero, con mons. Pietro Zaramella, mons. Giovanni Nervo, mons. Giuseppe Pasini, don Mario Gastaldo, mons. Angelo Zilio. La consapevole serenità del ruolo della Provvidenza ("Tutto è grazia", teneva a ricordare ai suoi interlocutori) gli consentiva di essere un interlocutore esigente, ma né saccente né presuntuoso. Era infatti esigente non per riguardo a sé, ma per riguardo a quanti stava servendo. Mi pare esemplare di questo spirito, il suo intervento alla riunione della Consulta dell'Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, che il 25 gennaio 2002 a Roma aveva deciso di leggere il "Libro bianco sul Mercato del lavoro" assieme al suo autore, Marco Biagi. Io vengo da una terra dove la flessibilità la si vive in modo fortissimo; negli ultimi cinque anni circa il 70% dei contratti nuovi sono cosiddetti atipici. C'è un problema vero nel lavoro: sta cambiando e stanno cambiando anche le possibilità per le persone di vivere il proprio lavoro. La flessibilità è in questo senso una questione nodale che tocca non solo la dimensione del lavoro in sé, ma anche, come dice Laborem Exercens, diventa la chiave essenziale della questione sociale, perché dietro il problema della flessibilità c'è tutto un problema di come vivere la propria vita. Ed è un problema vero, grosso; la gente ha paura. Questo noi lo cogliamo fortissimamente. È una paura di una rete a maglie troppo larghe che non sa ancora contenere tante situazioni particolari. (…) La carriera di una persona è continuamente spezzata a ribasso oppure la formazione in questo senso diventa una parte del lavoro e qualifica? (…) Chi si trova senza lavoro specialmente su età oltre i cinquanta anni vede davvero con paura, si sente un emarginato sociale. (…) Vedo che nel lavoro realmente capita che i contratti individuali tendono a sgretolare quella che Giovanni Paolo II chiama il luogo di lavoro come una comunità di persone, che fanno una comunità di individui, non più comunità, è un luogo di individui. Un ventennio dopo, è una lettura sociale che possiamo replicare. Per questo ho scelto queste parole a quattro anni dalla morte di don Livio: continuano ad essere vive. Infatti, nell'agosto di quest'anno sono le parole di Papa Francesco della lettera di Papa Francesco allo scrittore Maurizio Maggiani, che "Con coraggio, senza temere di provare vergogna, ha voluto commentare la notizia che tanti avrebbero taciuto: i suoi libri - e molti altri - sono stampati sfruttando il lavoro schiavizzante di diversi cittadini pakistani". In gioco c'è la dignità delle persone, quella dignità che oggi viene troppo spesso e facilmente calpestata con il "lavoro schiavo", nel silenzio complice e assordante di molti. Lo avevamo visto durante il lockdown, quando tanti di noi hanno scoperto che dietro il cibo che continuava ad arrivare sulle nostre tavole c'erano centinaia di migliaia di braccianti privi di diritti: invisibili e ultimi - benché primi! - gradini di una filiera che per procurare cibo privava molti del pane di un lavoro degno. (…) E per un cristiano ogni forma di sfruttamento è peccato. Ora, mi domando, che cosa posso fare io, che cosa possiamo fare noi? (…) La penna, però, o la tastiera del computer, ci offrono un'altra possibilità: quella di denunciare, di scrivere cose anche scomode per scuotere dall'indifferenza, per stimolare le coscienze, inquietandole perché non si lascino anestetizzare dal non mi interessa, non è affare mio, cosa ci posso fare se il mondo va così? " . Per dare voce a chi non ha voce e levare la voce a favore di chi viene messo a tacere. Amo Dostoevskij non solo per la sua lettura profonda dell'animo umano e per il suo senso religioso, ma perché scelse di raccontare vite povere, "umiliate e offese". Sono tanti gli umiliati e gli offesi di oggi, ma chi dà a loro voce? Chi li rende protagonisti, mentre soldi e interessi spadroneggiano? (…) Di questo abbiamo bisogno, di una denuncia che non attacchi le persone, ma porti alla luce le manovre oscure che in nome del dio denaro soffocano la dignità dell'essere umano. (…) Ma denunciare non basta. Siamo chiamati anche al coraggio di rinunciare (…) ad abitudini e vantaggi che, oggi dove tutto è collegato, scopriamo, per i meccanismi perversi dello sfruttamento, danneggiare la dignità di nostri fratelli e sorelle. È un segno potente rinunciare a posizioni e comodità per fare spazio a chi non ha spazio. |
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la-086 27 agosto 2021 |
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