ECONOMIA E LAVORO

Diario / SABATO 29 LUGLIO 2017

Cenaforum con il film "1893. L'inchiesta"
Le contadine siciliane imparano subito
a chiedere pane e lavoro

Sul finire dell'Ottocento l'esperienza dei Fasci dei Lavoratori, non ideologica ma di popolo, con le donne alla testa
   "Libere di uscire di casa sole anche di sera, parlano in pubblico come vere oratrici, vogliono terra, pane e lavoro per sé e per i figli…Non immaginavo di trovare rozze contadine esprimersi con tale proprietà". Adolfo Rossi, giornalista del quotidiano romano "La Tribuna" lo scrive in un articolo del 16 ottobre 1893. Rossi si trova in Sicilia, da dove invia al giornale della capitale una serie di corrispondenze dedicate ad un movimento contadino che ha preso il nome di "Fasci siciliani".
Nel "cenaforum" d'estate continuano ad interessarci amici le donne e la campagna, come era successo nel precedente appuntamento del Primo Maggio. Questa volta è la storia del lavoro agricolo sottomesso nella Sicilia della fine dell'Ottocento il tema del film che abbiamo scelto e della successiva cena di discussione tra un gruppetto di amici a casa nostra.
Il film è "1893. L'inchiesta", realizzato dalla regista e giornalista siciliana Nella Condorelli, che l'ha costruito sull'inchiesta realizzata in Sicilia nell'ottobre del 1893, a dorso di mulo, da un giornalista veneto, Adolfo Rossi, l'unica testimonianza diretta esistente dei Fasci dei Lavoratori, movimento contadino sorto nel latifondo siciliano nel 1891, stroncato nel sangue dalle truppe regie e dai campieri mafiosi nel 1894.
L'inchiesta di Adolfo Rossi e il film di Nella Condorelli non sono incentrate sulle donne, ma alla fine una delle "scoperte" storicamente più inattese che ne ricava è proprio il protagonismo delle donne contadine siciliane. Non è una scoperta solo nostra. Lo stesso giornalista veneto lo mette in evidenza quando trasforma in libro ("L'agitazione in Sicilia. Inchiesta sui Fasci dei Lavoratori") la sua inchiesta giornalistica:
In quanto ai risultati della mia inchiesta nella Sicilia centro-occidentale, parto dai Fasci femminili. Ce ne sono dappertutto. Le donne portano i figli. A San Giuseppe Jato e a Modica ci sono Fasci di Fanciulli dai sette ai dodici anni. Le ragazze dei Fasci escono sole di casa anche di sera. La faccenda irrita i benpensanti, ma il prefetto di Palermo avverte: "La contadina dimentica il suo tradizionale pudore prendendo parte attiva all'attuale lotta di classe". Ad inquadrare l'intero tema del film e a rendere concreto il dialogo durante la cena si presta uno degli amici, Cipriano Mazzola, che ha radici e legami in Sicilia e che sta in Veneto da un tempo sufficiente per conoscere le due comunità.
Egli riprende quanto sia Nella Condorelli sia il film stesso spiegano. Quello dei Fasci dei Lavoratori è il movimento contadino sorto nel latifondo siciliano nel 1891, stroncato nel sangue dalle truppe regie e dai campieri mafiosi nel 1894. Il primo movimento organizzato per i diritti del lavoro dell'Italia unita. Dimenticato in Italia, è considerato dalla storiografia europea il più importante movimento sociale del secolo XIX.mo dopo la Comune di Parigi. La prima rivolta antimafia dell'Italia moderna e contemporanea. Non sono né banditi né briganti né cospiratori, sono contadini e zolfatari, uomini e donne laceri e affamati in lotta contro la schiavitù del feudo. Uniti nei Fasci, sfidano la secolare organizzazione sociale isolana basata sui privilegi della grande proprietà terriera. Secondo i rapporti dei delegati di pubblica sicurezza sono trecentomila, e 165 le sezioni diffuse su tutto il territorio. Da tre mesi non zappano le terre dei signori, con i figli mangiano solo erba e fichi d'india. In Sicilia, nella regione più arretrata d'Italia, è esploso il primo grande sciopero contro lo sfruttamento del lavoro dell'Italia capitalista.
Il film è da vedere, anche per la "confezione cinematografica" che Nella Condorelli ha dato al racconto, all'altezza della "confezione giornalistica" di Adolfo Rossi.
Tre suggestioni, tra le tante, le metto in comune durante il "cenaforum".
Una mi riguarda per quello che ho studiato a scuola e che mi aveva sorpreso sui banchi del liceo, dove avevo imparato molto da Giovanni Verga. Ora dal film apprendo che gli undici articoli di Rossi sui contadini siciliani provocano nei mesi di pubblicazione dibattito anche nei cenacoli intellettuali e letterari. Sul giornale "Don Chisciotte", con l'editoriale di prima pagina "Sicilia vera e Sicilia verista" Edoardo Boutet, giovane critico letterario napoletano, chiede pubblicamente ragione a Verga e a Capuana "per non avere narrato sino in fondo tutto questo".
La seconda suggestione nasce dalla mia esperienza professionale e riguarda lo stile giornalistico di Adolfo Rossi, modernissimo, senza sbavature. Del resto egli, nato a Lendinara nel Polesine, si era trasformato in giornalista negli Stati Uniti, dove era emigrato per non fare l'impiegato postale a Rovigo. La sua esperienza americana è anche tecnica: è il primo giornalista italiano ad utilizzare il telegrafo per inviare alla redazione articoli lunghi in tempo reale.
La terza suggestione deriva dal mio impegno nel cattolicesimo democratico e sociale e riguarda un altro capitolo della storia sociale italiana, oltre a quello delle donne: il movimento cristiano-sociale che sulla spinta di Papa Leone XIII ha alimentato rivendicazioni e realizzato strumenti di difesa per i lavoratori. Nel libro "L'agitazione in Sicilia. Inchiesta sui Fasci dei Lavoratori" Adolfo Rossi richiama (e Nella Condorelli riporta nel film) un'inattesa lettera pastorale del vescovo di Caltanissetta mons. Giovanni Guttadauro che, nell'ottobre del 1893, mostrava di condividere le motivazioni delle agitazioni, riferendosi "all'ingiustizia di talune condizioni apposte nei contratti delle mezzadrie, delle colonìe parziarie, inquilinaggi: condizioni che effettuano una grave sproporzione tra quello che i gabellotti forniscono ai lavoratori e ciò che questi rendono ai fittavoli… Le ragioni del malcontento esistono e non si possono dissimulare. Il ricco per lo più abusa della necessità del povero, che viene costretto a vivere di fatica, di stento, di disinganno". "Reclamino i reverendi Parrochi, naturali protettori dei poveri, presso i proprietari ed i gabelloti che si ristabilisca la giustizia e l'equità nei contratti, che si cessi dall'usura manifesta o palliata, che si ristabilisca l'equa proporzione tra il lavoro dei contadini ed il capitale apprestato dai gabelloti, sicché il raccolto risulti diviso giustamente… I reverendi parroci e predicatori ambulanti ricordino in ogni ai ricchi, ai proprietari dei feudi e delle miniere, ai gabelloti, ai padroni e ai capitalisti l'insegnamento della Chiesa, che grida altamente, per bocca del sommo Pontefice, essere loro dovere: non tenere gli operai in conto di schiavi, rispettare in essi la dignità dell'umana persona, del carattere cristiano, non imporre lavori sproporzionati alle forze e malconfacenti con l'età o col sesso. Principalissimo poi loro dovere è dare a ciascuno la giusta mercede, determinarla secondo giustizia, e non trafficare sul bisogno dei poveri infelici". "Se ciò non vorrà praticarsi, ci converrà assistere al desolante spettacolo della continua emigrazione dei poveri contadini, che vanno a cercar pane nelle lontane Americhe, ove raro è che trovino quel che desiderano".
Non era la voce prevalente. A Piana dei Greci, durante l'intervista al Fascio Femminile, Adolfo Rossi chiede: "In che relazione siete con i preti?". La Contadina portabandiera gli risponde: "Gesù voleva quello che chiedono i Fasci, ma certi preti non lo rappresentano bene. A giugno per protestare contro la guerra che qualcuno di loro ci faceva, nessuno di noi andò alla processione del Corpus Domini. Era la prima volta che avveniva un fatto simile".

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la-079
9 agosto 2017
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Tino Bedin