SICUREZZA E DIFESA

Il dibattito in Senato sull'operazione "Libertà duratura"
Scarsa l'informazione diretta
sulle azioni militari
contro il terrorismo internazionale

Uno svantaggio per l'opinione pubblica ma anche per gli stessi militari. Deve sempre prevalere il nostro sistema giuridico, costruito sul rispetto della persona e sulle libertà individuali

Il Senato ha discusso il 22 e 23 gennaio il decreto legge del governo sulla partecipazione italiana all'operazione militare internazionale Enduring Freedom contro il terrorismo. Per il gruppo Margherita-L'Ulivo sono intervenuti i sernatori Tino Bedin e Mario Cavallaro. Pubblichiamo l'intervento di Tino Bedin nella discussione generale.

intervento in Senato di Tino Bedin
capogruppo in Commissione Difesa

Discutiamo la conversione in legge del decreto-legge relativo alla partecipazione italiana alla missione "Libertà duratura" mentre lo scenario è parzialmente cambiato rispetto alle decisioni contenute nel provvedimento.
Il dibattito politico che questa approvazione determina è dunque orientato più al presente e al futuro che al contenuto del disegno di legge; possiamo farlo senza recriminazioni, anche come parlamentari di opposizione. Funziona infatti il meccanismo previsto alla fine della scorsa legislatura. Il Parlamento ha riconosciuto l'inevitabilità dell'azione governativa nell'ambito di operazioni che coinvolgono le nostre Forze armate in operazioni di collaborazione internazionale ed europea ma, nel contempo, ha rivendicato la propria primazia di indirizzo politico. Il Governo sembra finora rispettare questo indirizzo.
I Gruppi parlamentari "La Margherita-Democrazia è Libertà" hanno già espresso parere motivatamente favorevole alla partecipazione italiana. Ciò è importante non solo dal punto di vista parlamentare ma anche dell'opinione pubblica e del consenso assicurato dai cittadini all'impegno militare per la propria sicurezza.
Vi è però - in riferimento alle opinioni pubbliche - un elemento che sta caratterizzando questa guerra sul quale richiamo l'attenzione dell'Assemblea e del Governo: la scarsità di informazioni. Per il contenuto negativo e di violenza che ha strutturalmente, la guerra non dovrebbe essere spettacolarizzata e tanto meno commercializzata in televisione, ma tra la diretta continua con cui ci è stata fatta vivere la guerra del Golfo e i meri comunicati stampa sui quali lavora quasi esclusivamente il mondo dell'informazione in questi mesi un ragionevole equilibrio deve pur esserci.
Spero che la decisione presa dal governo di applicare il codice penale militare di guerra, con gli articoli riguardanti la libertà di stampa e di opinione, non corrisponda inconsapevolmente a questa logica che è stata imposta in parte da chi guida le operazioni militari.
Non si tratta solo di una questione rilevantissima di trasparenza democratica, alla quale non possiamo rinunciare. Un'informazione più ampia, più libera è anche un servizio che dobbiamo rendere ai nostri militari impegnati in questo fronte. Quanti di noi si sono sentiti domandare in queste settimane cosa stesse facendo la nostra squadra navale e più in generale il nostro contingente! L'opinione pubblica, che ama le proprie Forze armate, ha interesse alla loro vita, al loro impegno, e non va delusa.
È importante poi che i militari sentano di agire sulla base di un mandato ampio, se non unanime. Questo vale per i militari impegnati nelle missioni "Enduring Freedom" e "Isaf" (che hanno come teatro l'Afghanistan), ma vale complessivamente per i quasi 10 mila militari italiani che nel mondo lavorano per la pace, la sicurezza e la giustizia e ai quali va la riconoscenza del nostro Gruppo parlamentare. Si tratta di una riconoscenza che è prima di tutto riconoscimento del valore del loro impegno e che traduciamo anche nella presentazione, insieme ad altri colleghi dell'opposizione, di emendamenti che aumentano le garanzie economiche e previdenziali del contingente italiano impegnato in Afghanistan.
Come ho detto, ci interessa più il presente che il passato, ma l'attenzione a quanto di nuovo si è aperto dal 18 novembre scorso, giorno in cui la squadra aeronavale italiana ha lasciato il porto di Taranto, non ci esime dal fare un primo bilancio dell'operazione "Libertà duratura".
Sul piano militare è stata distrutta la base logistica che Al Qaeda aveva in Afghanistan; è stato abbattuto il regime dei talibani, il cui stretto intreccio con la rete terroristica responsabile dell'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre è emerso sempre più chiaramente anche per merito dell'azione militare. Certamente il fatto che siano ancora in libertà il capo politico-militare e il capo politico-religioso dell'alleanza che si era creata in Afghanistan è uno degli elementi che non consentono di considerare terminata l'operazione. E tuttavia - come ha detto Omar Samad, portavoce del ministro degli Esteri afghano - non è importante se il Mullah Omar sia in groppa ad un asino o in sella ad una motocicletta, importante è che sia in fuga. In effetti è l'immagine di una sconfitta che è venuta dall'interno del popolo afghano. Sul piano politico credo vada sottolineata la coesione della grande coalizione che si è creata all'indomani dell'11 settembre. Questo successo politico è confermato anche da un altro dato: nel corso dell'intera l'operazione militare si è registrato finora un solo attacco ad interessi americani, quello di questa notte al consolato americano di Calcutta.
Se si pone mente all'azione mediatica promossa da Al Qaeda all'inizio della controffensiva delle Nazioni al terrorismo e alle manifestazioni di massa che avevano scosso il Pakistan, è anche questo un successo politico. Esso va capitalizzato non solo sul piano militare, ma anche su quello del consenso internazionale.
Le occasioni per alimentare il consenso internazionale non mancano, anzi sono impegnative almeno tanto quanto l'azione militare.
Uno dei risultati della sconfitta dei talibani è l'alto numero di prigionieri sia afghani che di Al Qaeda che oggi sono nelle mani degli alleati; molti di loro sono già rinchiusi nella base americana di Guantanamo. Le immagini e le testimonianze che sono giunte da lì, le posizioni dei Governi inglese e tedesco, avvertono della necessità che il metro della civiltà giuridica continui ad essere quello delle nostre democrazie e non quello dei terroristi e dei talibani. Il senatore democratico ed ex candidato alla Vice presidenza Joeseph Lieberman ha ieri negato i maltrattamenti; ha sostenuto però che si tratta certo di un trattamento duro, per persone che non sono bambini.
Ripeto: il metro di giudizio non è e non può essere la durezza delle persone e del corrispettivo trattamento. Il metro è il nostro sistema giuridico, quello costruito sulla democrazia, sulle libertà individuali, sul rispetto delle persone.
Lo sottolineo perché sul piano del ruolo che possono svolgere le democrazie nel mondo, va ricordato che l'azione militare di "Enduring Freedom" ha avuto come effetto interno all'Afghanistan il crollo del regime dei talibani, nel quale erano negati alcuni tra i fondamentali diritti della persona. Ora ci auguriamo che, all'interno della loro cultura e della loro tradizione, gli afghani possano conservare le nuove opportunità di cui cominciamo a disporre.
Per quanto riguarda la partecipazione dell'Italia, resa possibile dal voto del Parlamento e resa operativa da questo decreto-legge, va sottolineato che si tratta della missione più difficile dalla fine della seconda guerra mondiale. Si tratta anche di una missione nuova. Non ci sembra però così nuova da giustificare l'applicazione a questa operazione del codice penale militare di guerra.
Noi continuiamo ad esprimere le nostre perplessità, anche se ci rendiamo conto che così si offre un quadro giuridico più certo non solo ai militari italiani, ma soprattutto alla popolazione afgana e ad eventuali prigionieri nei confronti del contingente italiano. Credo sia utile valutare la proposta per norme che riguardino esclusivamente la missione del contingente italiano in Afghanistan.
Ricordo, sempre per quanto riguarda l'impegno dei nostri militari, che il 18 dicembre, un mese dopo la partenza, hanno avuto il loro primo ingaggio bellico. Due Harrier, partiti dalla portaerei Garibaldi, hanno compiuto una missione sui deserti e sulle grotte dell'Afghanistan. Non credo sia solo una nota statistica ricordare che sono stati i primi aerei non americani impegnati in azioni di "Enduring freedom". Ciò è stato possibile anche per la modalità che il contingente italiano ha adottato: a differenza di francesi e tedeschi, i militari italiani operano sotto il comando americano, che da Tampa, in Florida, gestisce le operazioni militari. Chiedo al Governo se è in grado di riferire sulle modalità che hanno portato a questa scelta e sulla sua utilità, anche in considerazione della diversità rispetto ad altri contingenti europei.
Tra i compiti c'è l'attivazione della base aerea di Kulyab in Tagikistan. Prima di Natale il ministro Martino ha fornito per questo intervento prospettive temporali a medio termine, con un impiego di uomini e mezzi rilevante, che dovrebbe portare, dopo aprile, anche un possibile rischieramento dei Tornado.
Sono tempi che confermano una non breve durata della missione. A meno che l'evoluzione della situazione non abbia fatto mutare i programmi; in questo caso sarà interessante ascoltare quello che il governo ha da dirci.
Accanto all'azione militare, ed ora all'azione di sostegno al Governo provvisorio, l'Italia ha sempre detto di voler partecipare anche all'opera di ricostruzione dell'Afghanistan dopo 23 anni di guerre interne e di resistenza. Il processo di stabilizzazione democratica è uno degli aspetti fondamentali nella lotta al terrorismo. Tale lotta richiede capacità militari, strumenti di polizia internazionale, ma anche possibilità ed opportunità di edificazione o ricostruzione di un impianto democratico.
Quest'ultima modalità può essere raggiunta con vari strumenti. Uno di questi è sicuramente l'operazione ISAF ("International security assistance force"), nella quale l'Italia si è già impegnata per un'azione di peace keeping assieme ad altri 22 Paesi. . Garantirà per sei mesi la tranquillità e la sicurezza del governo ad interim di Hamid Karzai.
I gruppi parlamentari di Democrazia è Libertà hanno già avuto modo di esprimere la loro condivisione anche a questa operazione.
Questa operazione presenta una novità rispetto a "Libertà duratura". È infatti il risultato dell'Accordo di Bonn del 5 dicembre fra le parti afgane; è accompagnata da due risoluzioni delle Nazioni Unite, ma soprattutto dall'invito delle nuove autorità afgane. Mi sembra quest'ultimo l'elemento da sottolineare e da sostenere come inevitabile e imprescindibile in vista di eventuali possibili sviluppi dell'azione di contrasto al terrorismo; anche perché questo invito delle nuove autorità afgane è contenuto nell'Accordo del 5 dicembre e quindi coinvolge tutti gli attori della società locale.
Pur con queste novità, l'ISAF conserva uno stretto coordinamento con "Libertà duratura". Dal nostro punto di vista probabilmente sarebbe stata preferibile una più chiara distinzione, così come sostenuto dal Governo tedesco. Tuttavia ci pare che la soluzione trovata, con il comando affidato agli inglesi, sia ragionevole ed in grado di raggiungere gli scopi di questo intervento.
Mettendo insieme la partecipazione ad "Enduring freedom" e alla forza ONU di stabilizzazione democratica, ci troviamo comunque di fronte - come ho sottolineato in precedenza - al più grande impegno delle Forze armate italiane repubblicane: grande e difficile per la lontananza dai nostri naturali "teatri" operativi, per la varietà della minaccia, per l'incertezza della situazione politica.
La conferma viene proprio in questi giorni dalle notizie giornalistiche che parlano di pericolo di attentati per la missione italiana a Kabul. Il colonnello Giorgio Battisti, comandante del nostro contingente, ha riportato l'allarme all'interno del generale problema di sicurezza che riguarda la forza ONU a Kabul: il che significa confermare il previsto alto rischio della missione.
Ma, oltre allo strumento militare, credo che possa esserci un altro strumento per la stabilizzazione democratica. Accanto a quello che l'Italia potrà e saprà fare attraverso l'Unione europea e direttamente, credo che potrebbe essere non secondario un impegno del Parlamento italiano. Ce lo ha chiesto il presidente Karzai proprio qui a Roma: noi parlamentari potremmo cooperare alla ricostruzione degli organi democratici e rappresentativi dell'Afghanistan.
Mi pare che anche questa azione potrebbe essere svolta in collaborazione con altri Parlamenti nazionali dell'Unione europea e con il Parlamento europeo. Lo stesso presidente Karzai ha parlato di un periodo transitorio di almeno due anni, quindi ci sono le condizioni per questo affiancamento nostro ai parlamentari futuri dell'Afghanistan.
Integrando perciò l'attività militare e quella istituzionale, credo che daremo alla doverosa presenza italiana il carattere di una grande utilità per il popolo afghano e per il suo futuro e confermeremo la sua importanza per la sicurezza dell'Italia e dell'Europa e non solo degli afgani.

22 gennaio 2002



 DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE

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1 febbraio 2002
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