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Una urgente riflessione sul Partito Popolare Italiano
Carissimo Senatore,
sono il segretario dei Popolari di Villafranca Padovana.
In questo primo contatto molte sarebbero le questioni che mi verrebbero da porre sui più
svariati argomenti, ma non posso, in questa fase, esimermi dal chiedere notizie sul
Partito che ad entrambi sta a cuore.
Verso dove andiamo? Anche oggi la stampa non cessa di lanciare messaggi di un movimentismo
di centro che sa tanto di restaurazione di vecchie strutture. Conosciamo bene entrambi il
valore storico della DC e non ne rinneghiamo l'importanza per la vita di questo Paese, ma
queste operazioni non possono non lasciare disorientato chi si è impegnato ed esposto in
prima persona per un chiaro bipolarismo che fosse espressione di un nuovo modo di far
politica.
E adesso? dovremmo forse aspettarci un "contrordine compagni" a cui tutti
obbedire in nome di una falsa unità basata su antiche nostalgie di vecchie
contrapposizioni anticomuniste, ormai del tutto fuori dalla storia?
Penso sia un dovere primario da parte di coloro che fanno politica a livello nazionale
(parlo dei vertici del nostro partito) fare chiarezza ed in modo definitivo su
aggregazioni e schieramenti. Questa incertezza continua, infatti, impedisce anche a noi
della periferia di impostare un serio lavoro di rilancio del Partito.
Per esempio, recentemente ci siamo trovati ad analizzare l'esito del voto regionale. Sono
sorte anche idee per cercare di rilanciare il partito a livello locale, negli ultimi anni
un po' sacrificato alle esigenze del buon amministrare che, un po' ingenuamente, ci
sembravano preminenti. Queste idee, tuttavia, resteranno lettera morta se non sappiamo
bene in nome di chi ci muoviamo, per fare che cosa e con quali prospettive. E' inutile che
andiamo a dire ai giovani (alcuni giovani sono venuti a cercarci per sapere qualcosa sulla
politica PPI) che rappresentiamo il cattolicesimo democratico nel centro sinistra se poi
il giorno dopo veniamo sconfessati da manovre di avvicinamento De
Mita-Andreotti-Mastella-D'Antoni e quanti altri "nuovi" salvatori della patria,
in nome di una rinascita DC.
A questo punto non è il caso di pensare ad una Rifondazione Popolare che permetta a
questo partito di rinascere con basi più chiare e più forti e, soprattutto, senza
ambigui vaneggiamenti di ritorni al passato?
Mi rendo conto che si tratta di domande a cui non è semplice dare una risposta, né
sarebbe giusto che mi attendessi chissà quali rivelazioni. Penso, tuttavia, che una
riflessione su questi argomenti non sia inutile e vada compiuta in fretta, altrimenti il
nostro partito finirà presto per dissolversi, sprecando, così, un patrimonio di valori e
di risorse umane difficilmente ricostruibile.
Daniele Visentin
Villafranca Padovana
Risponde Tino Bedin
Caro Daniele, verso dove andiamo? E' difficile dirlo. Non dipende solo da noi: né da
noi singole persone , né da noi come Popolari. Le persone che vivono in Europa (e quindi
anche noi italiani) stanno costruendo ogni giorno una condizione nuova (cultura,
familiare, economica, etica e quindi anche politica). Fare oggi gli "animatori
politici" vuol dire soprattutto ascoltare, come dice anche Pierluigi Castagnetti.
Ascoltare gli altri esprimersi, dare mente e cuore al dialogo, perché "nessuno si
senta solo". Abbiamo fatto un congresso nazionale, il più recente, con questo
slogan, anche se l'informazione non se n'è accorta. Non era una frase ad effetto: è la
condizione della politica, ora.
Forse è più impegnativo, per le questioni che poni, farci un'altra domanda: dove siamo?
Del resto anche il tragitto verso la prossima tappa dipende dal punto di partenza.
Stabilire dove siamo è già cercare dove andiamo.
Ho una convinzione: il Ppi è nato nel 1994 per stare nel nuovo tempo. I cattolici
democratici hanno pensato e fondato una squadra per partecipare ad un nuovo
"campionato politico", dopo aver vinto in Italia (ed in Europa) lo scudetto
della libertà e della giustizia.
Per il cognome che porto, mi succede spesso che amici della mia età mi salutino con uno
dei
rosari della nostra giovinezza: Bedin, Guarneri, Picchi
Corso, Jair
e via nominando della Grande Inter, in cui giocava ovviamente anche Mazzola. Quell'Inter,
lo sappiamo, non torna; neppure se tornano a giocare Bedin e Corso e Mazzola, vince. La Dc
non torna, neppure se entrano in squadra insieme Andreotti, De Mita e Mastella. Non torna,
perché non c'è più quel
campionato. Non torna perché nello "Stadio
Italia" ci sono altri "tifosi", che applaudono giochi diversi da quelli di
un tempo. Certo, quando le partite sono difficili, quando si perde e soprattutto si ha
l'impressione di aver smarrito il gioco, l'idea di tornare all'allenatore di un tempo è
forte, in molti sportivi ed in molti politici. Ma non ha funzionato né nel calcio né in
politica.
L'incertezza si supera guardando avanti e non indietro. Anche perché indietro ormai per
le nostre idee non ci sono può traghetti. Esse finirebbero nel grande lago conservatore e
liberista di Forza Italia. Voglio dire che non c'è più niente da "ri-fondare":
e poiché alcuni tra coloro che dicono di volerlo fare sono più esperti di me in
politica, di sicuro lo sanno anche loro. Dicono allora "ri-fondare", ma forse
immaginano solo di poter "ri-nominare" qualcosa che c'è già
C'è
Buttiglione infatti che aspetta.
Tu pensi a Rifondazione Popolare, ma anche il Ppi c'è già. E' vero: a volte la spinta
(la tentazione?) di rifondare è forte. Sembra più giusto provare con le sole nostre
idee; le nostre forze - se non contrastate - potrebbero bastare, ci diciamo. Ci sembra (lo
è) un atto di coraggio.
Ma anche stare dove siamo esige impegno. Anche costruire con pazienza, assieme a molti
altri, le novità di cui la società ha bisogno, e farlo nel maggior numero possibile, è
essere Popolari.
Penso ai Democratici un anno fa, alla loro proposta politica, alla loro urgenza di dare
risposte, di "rifondare" l'Ulivo; penso all'entusiasmo che hanno creato alle
elezioni europee; penso alle difficoltà che hanno generate (ai Popolari, agli elettori
Popolari non tanto ai dirigenti). Penso ai Democratici alle elezioni regionali. Ci ripenso
e mi piacerebbe poter immaginare una storia fatta insieme, con coraggiosa e paziente
disponibilità, non solo dalle elezioni regionale, ma dall'inizio
So che queste non sono risposte. Non me le chiedi, infatti.
Ma una risposta mi sento di dartela, anche se questa domanda non me l'hai posta: ve la
siete posta nel vostro gruppo e avete già trovato la risposta: "Ingenuamente, ci
sembravano preminenti le esigenze del buon amministrare".
Lo so che brucia la sconfitta alla municipali (a Mario, a te; anche a me): brucia perché
il "nostro" sindaco aveva scelto di essere un buon amministratore e lo è stato.
Ma so anche che il "nuovo campionato" ha bisogno di queste giocatori, che nuovi
tifosi arriveranno alla democrazia solo con questo stile di gioco. Quella dell'anno scorso
è stata solo una partita di un campionato appena cominciato a Villafranca e in Italia, in
cui conterà giocare per vincere a nome di tutti, non a nome dei più forti.
Padova, 20 maggio 2000
20
maggio 2000 webmaster@euganeo.it |
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