COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Per un attimo accomunati dalla paura dell'ignoto e dall'impotenza di fronte alla morte
Nella pandemia si sono specchiati
i Popoli della Terra e i Popoli della Merce

Natura e umanità si salvano o si danneggiano a vicenda:
l'ecologia integrale, il paradigma esistenziale proposto nella
Laudato si',
è diventata esperienza drammatica per miliardi di persone

di Tino Bedin

"Non so se sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta". Interrogato e interrogandosi sulla pandemia di Covid-19, Papa Francesco dice di trovarvi la conferma di un proverbio spagnolo: "Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai". Nel corso delle settimane di morte e di paura globali, Papa Francesco lo ha citato più volte: gli piacerebbe che ce lo ricordassimo; non tanto il proverbio, quanto il pericolo nel quale ci siamo messi. Nel tempo del confinamento e della solitudine, Papa Francesco ha spesso proposto l'esercizio della memoria, come strumento di futuro: "Preparatevi a tempi migliori, perché in quel momento questo ci aiuterà a ricordare le cose che sono successe ora. Abbiate cura di voi per un futuro che verrà. E quando questo futuro verrà, vi farà bene ricordare ciò che è accaduto".
Et haec olim meminisse juvabit: Virgilio lo fa dire ad Enea in un verso dell'Eneide. Il Papa fa ricorso all'incoraggiamento di Enea ai compagni e lo traduce così: "Farà bene recuperare la memoria, perché la memoria ci aiuterà". Non ne abbiamo molta nei confronti della natura, constata Francesco: "Non è la prima pestilenza dell'umanità. Le altre sono ormai ridotte ad aneddoti". Scarseggia anche la memoria a breve termine: "Chi oggi parla degli incendi in Australia? E del fatto che un anno e mezzo fa una nave ha attraversato il Polo Nord, divenuto navigabile perché il ghiaccio si era sciolto? Chi parla delle inondazioni?".

L'umanità si è scoperta "inquinata". Invece: "Non dovremo perdere la memoria una volta passata la situazione presente, non dovremo archiviarla e tornare al punto di prima. È il momento di fare il passo. Di passare dall'uso e dall'abuso della natura alla contemplazione. (…) Ogni crisi è un pericolo, ma è anche un'opportunità. Ed è l'opportunità di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale".
In tempo di pandemia, Papa Francesco ripete le indicazioni proposte cinque anni fa con l'enciclica Laudato si': "Rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un'altra modalità di progresso e di sviluppo". Anche l'uscita dal planetario pericolo per la salute è nel diverso rapporto fra l'uomo e la natura, è nella cura complessiva della casa comune.
Il fare attenzione "a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita", dice l'enciclica, "ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un'analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà". Ora il Covid-19 ha drammaticamente invertito le posizioni e completato il quadro: nella pandemia, è l'umanità ad essere "inquinata" al punto da doversi difendere da se stessa (con distanziamento e mascherine); è l'umanità ad essere fragile al punto da chiedere alla natura come sia stato possibile che un pipistrello annichilisca le maggiori economie del pianeta e metta in reclusione buona parte della specie umana.
Natura e umanità si salvano o si danneggiano a vicenda: l'ecologia integrale, il nuovo paradigma esistenziale proposto nella Laudato si', è diventata, con la pandemia, esperienza drammatica per miliardi di persone, che stanno vedendo che "tutto è connesso" (altra evidenza illustrata dall'enciclica) non dalla globalizzazione, ma dalla biosfera: "il nostro mega sacco amniotico", l'ha definita la virologa Ilaria Capua in un libretto dell'anno scorso intitolato Salute circolare, giustamente osservando che "non possiamo prenderlo a calci, scaricarci dentro le nostre peggiori intenzioni e poi pretendere che non ne risentiamo né noi né i nostri coinquilini"; perché "non possiamo continuare a pensare che abbia senso avvelenare, invadere e considerare come nostra proprietà esclusiva l'ambiente".

Uno specchio su cui guardarci tutti insieme. Lo conoscono bene e da molto tempo, questo legame tra salute e natura, in Amazzonia.
Qui le popolazioni isolate hanno scarse difese immunitarie e il Covid-19 ha subito fatto rimbalzare nel mondo tragiche immagini di fosse comuni da Manaus, la città più popolosa della grande regione.
Qui vivono i sopravvissuti all'epidemia di morbillo che in due ondate fece strage dei popoli locali tra il 1974 e il 1977. La malattia era arrivata con la costruzione della Perimetrale Nord, la strada con la quale il governo militare brasiliano voleva collegare Brasile e Colombia. Il contatto tra i popoli amazzonici privi delle difese immunitarie con i lavoranti della strada ne causò lo sterminio. E non è stato, come si è visto, che un episodio. Oggi la pandemia globale lo attualizza e lo amplifica fino a tutti i confini del mondo: è di nuovo tragica esperienza per i popoli amazzonici; è imprevisto ed eloquente specchio per tutto il pianeta di una universale condizione umana e ambientale. I "popoli della Merce" e i "popoli della Terra" sono per un attimo accomunati dalla paura dell'ignoto e dall'impotenza di fronte alla morte.
Dura poco, certo. Dura un attimo, lo specchiamento dei popoli tra loro: poi i "popoli della Merce" mettono in campo ospedali, respiratori, tamponi; poi i "popoli della Terra" continuano a non avere né cliniche né dottori: "Possiamo usare solo le nostre piante tradizionali, aglio della foresta e zenzero, che possono pulire la gola per prevenire l'infezione", ha fatto sapere a maggio dall'Amazzonia ecuadoregna Tzamarenda Estalin, rappresentante del gruppo indigeno Shuar Tawsap.
Dura di più la paura ed è grande nei "popoli della Merce", anche perché la pandemia ha infettato proprio la "Merce". Basterà la paura per non mettere da parte lo specchio su cui guardarci tutti insieme?
Lo specchio è, infatti, ancora lì. Da tempo Papa Francesco invita l'umanità a guardarlo: "Mai i popoli originari dell'Amazzonia sono stati minacciati quanto lo sono ora, ai nostri giorni, nelle loro stesse terre (…) è l'opera straordinaria di Dio ferita dall'avidità umana e dal consumo fine a se stesso che oggi ci invita a volgere lo sguardo. (…) Con la ricchezza della sua biodiversità, multi-etnica, pluriculturale e pluri-religiosa, l'Amazzonia è uno specchio di tutta l'umanità che, a difesa della vita, esige cambiamenti strutturali e personali di tutti gli esseri umani, degli Stati e della Chiesa".
Il Papa, che i cardinali del Conclave sono andati a prendere ai confini del mondo, è tornato ai confini del mondo a prendere quello specchio, lo ha portato a Roma in processione, convocando per questo un Sinodo speciale dei vescovi per la regione Pan-Amazzonica (era il 15 ottobre 2017): ha camminato insieme ai pastori dei popoli amazzonici, ai testimoni della distruzione, ai depositari di antiche culture, ai preoccupati per Madre Terra.
Rio delle Amazzoni / capitale delle sillabe dell'acqua, / padre patriarca, sei / l'eternità segreta / delle fecondazioni, / a te scendono fiumi come uccelli, canta il poeta cileno Pablo Neruda.
Proprio dalle sorgenti del Rio delle Amazzoni in molti si erano messi in cammino fin dal 19 gennaio 2018 al santuario di Madre de Dios in Perù, per sperimentare con Francesco che "la difesa della madre terra non ha altra finalità che la difesa della vita".
Arrivati il 7 ottobre dell'anno scorso all'inizio dell'ultima tappa, a Roma, all'apertura del Sinodo si sono sentiti raccomandare dalla loro guida che la processione continuava: "Non siamo venuti qui per inventare programmi di sviluppo sociale o di custodia di culture, di tipo museale, o di azioni pastorali con lo stesso stile non contemplativo con cui si stanno portando avanti le azioni di segno opposto: deforestazione, uniformazione, sfruttamento. (…) Siamo venuti per contemplare, per comprendere, per servire i popoli. E lo facciamo percorrendo un cammino sinodale, lo facciamo in sinodo, non in tavole rotonde, non in conferenze e ulteriori discussioni: lo facciamo in sinodo. (…) Sinodo è camminare insieme".

Il Sinodo specchia l'Amazzonia nella Laudato si'. Contemplare: Papa Francesco ha sollecitato questa azione anche durante la pandemia, perché non basta vedere quello che accade, non basta neppure fermarsi un attimo a guardare, come sarà capitato a molti per una scena vista in tv che il Papa cita: "Noi uomini abbiamo perduto la dimensione della contemplazione: è venuto il momento di recuperarla. E a proposito di contemplazione vorrei soffermarmi su un punto: è il momento di vedere il povero. (…) Vedere i poveri significa restituire loro l'umanità. (…) Sono là, gli passiamo accanto, ma non li vediamo. Fanno parte del paesaggio, sono cose. (…) I senzatetto restano senzatetto. Giorni fa ho visto una fotografia, di Las Vegas, in cui erano stati messi in quarantena in un parcheggio. E gli alberghi erano vuoti. Ma un senzatetto non può andare in un albergo. (…) Non sono cose, non sono scarti, sono persone. Non possiamo fare una politica assistenzialistica come con gli animali abbandonati. Non possiamo fare una politica assistenzialistica e parziale".
Contemplare è la prima azione: precede il comprendere, illumina il servire; contemplare è immedesimarsi, è specchiarsi: specchiarsi tra persone. Nel Sinodo la Chiesa si è specchiata nei popoli dell'Amazzonia: "Riconosciamo le ferite causate dall'essere umano nel nostro territorio, vogliamo imparare dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle dei popoli originari, in un dialogo di saperi, la sfida di dare risposte nuove cercando modelli di sviluppo giusto e solidale".
Questo specchiamento ha infatti evidenziato la pericolosità del paradigma dell'Antropocene.
"Constatiamo che l'intervento umano ha perso il suo carattere 'amichevole', per assumere un carattere vorace e predatorio che tende a spremere la realtà fino all'esaurimento di tutte le risorse naturali disponibili. (…) Dio ci ha dato la terra come dono e come compito, per prenderci cura di essa e risponderne; noi non siamo i suoi padroni. (…) Proponiamo di definire il peccato ecologico come un'azione o un'omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l'ambiente. È un peccato contro le generazioni future e si manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell'armonia dell'ambiente, in trasgressioni contro i principi di interdipendenza e nella rottura delle reti di solidarietà tra le creature (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 340-344) e in azioni contro la virtù della giustizia".
Più aderente alla realtà e più giusto è agire secondo il paradigma dell'ecologia integrale.
"In Amazzonia la vita è inserita, collegata e integrata al territorio che, in quanto spazio fisico vitale e nutriente, è possibilità, sostentamento e limite della vita. (…) L'acqua e la terra di questa regione nutrono e sostengono la natura, la vita e le culture di centinaia di comunità indigene, contadini, afro-discendenti, meticci, coloni, popolazioni che vivono sulle rive dei fiumi e abitanti delle città. (…) L'Amazzonia oggi è tuttavia una bellezza ferita e deformata, un luogo di dolore e violenza. Gli attentati contro la natura hanno conseguenze per la vita dei popoli. (…) L'ascolto del grido della terra e del grido dei poveri e dei popoli dell'Amazzonia con cui camminiamo chi chiama ad una vera conversione integrale, con una vita semplice e sobria. (…) L'ecologia integrale collega così l'esercizio della cura della natura con quello della giustizia per i più impoveriti e svantaggiati della terra. (…) Di fronte alla pressante situazione del pianeta e dell'Amazzonia, l'ecologia integrale non è una via in più che la Chiesa può scegliere di fronte al futuro di questo territorio, è piuttosto l'unica via possibile".
Per questo il documento finale del Sinodo speciale (in cui si leggono le due citazioni) ha per titolo: "Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un'Ecologia integrale".
È un titolo che evidenzia anche il legame diretto con la Laudato si', il cui messaggio viene specchiato (e quindi reso ancor più concreto) in una grande regione, dove tutta l'umanità e l'intera Madre Terra sono in gioco. La crisi sociale e quella ambientale sono infatti una sola terribile sfida alla biosfera, cioè alla vita. L'ecologia integrale è ecologia dell'uomo e della creazione tutta intera; attraverso di essa si contrasta l'economia dello scarto, che prima esclude e poi elimina quello che non le serve: persone o beni naturali che siano; le è indifferente."Molti sono gli alberi / dove abitò la tortura / e vasti i boschi / comprati tra mille uccisioni", dicono alcuni versi di Ana Varela Tafur, poetessa peruviana, docente all'Università nazionale dell'Amazzonia.

14 giugno 2020


ci-113
15 giugno 2020
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