COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

A dieci anni dall'inizio dell'ingerenza umanitaria dell'Onu
La Bosnia-Erzegovina
diventerà uno Stato?

È l'unica condizione per una pace stabile; l'Europa intende fare la sua parte

articolo di Tino Bedin
per "La Difesa del Popolo" di Padova

A dieci anni dal referendum sull'indipendenza che avrebbe dovuto farne uno Stato, la Bosnia Erzegovina continua a porre domande all'Europa. O meglio: dalle tragedie della Bosnia Erzegovina siamo noi europei che ricaviamo interrogativi sui nostri doveri, sulle nostre convinzioni, sui nostri comportamenti.
Dieci anni fa fummo "costretti" a rivedere il nostro rapporto con la guerra sul suolo europeo. Di fronte alle tragiche immagini di Sarajevo dovemmo trovare parole nuove con cui chiamare l'uso delle armi non richiesto e scoprimmo allora il costoso dovere dell'ingerenza umanitaria. Costoso come lo è ogni guerra: nel servizio speciale che Telechiara ha dedicato la settimana scorsa alla Bosnia le telecamere hanno inquadrato i nomi di tre vie di un paese ricostruito, nomi italiani, di soldati italiani morti in Bosnia.
In quel servizio giornalistico l'autore, Alberto Feltrin, raccontando la vita, ha fatto emergere le molte speranze che i popoli della Bosnia Erzegovina ripongono nell'Europa. Ma sia nel racconto televisivo che nell'anticipazione scritta che ne ha fatta per la Difesa Alberto Feltrin ha anche fatto emergere alcune domande che riguardano noi, direttamente.
Una è destinata alla società: è la "professionalizzazione" degli aiuti umanitari, il far diventare la cooperazione allo sviluppo una professione sia associativa che personale. È una bella domanda, dopo quasi sette anni di aiuto alla Bosnia Erzegovina. Ma la lascio qui, perché in questo momento non sembra che il tema della cooperazione internazionale abbia una qualche cittadinanza nel dibattito italiano.
L'altra domanda è rivolta alla politica: non solo ai "politici", ma al nostro essere cittadini in Europa. Più che una domanda, Alberto Feltrin ha ricavato una certezza dal suo viaggio in Bosnia Erzegovina: "All'Europa - egli ha costatato - manca il coraggio di educare alla trasparenza e alla democrazia". Ecco la nuova domanda su noi che la Bosnia ci pone dieci anni dopo, meno tragica di allora, ma altrettanto drammatica: la democrazia pacifica che in oltre mezzo secolo abbiamo costruita e difesa non sufficientemente "contagiosa"; non è direttamente applicabile. Forse, dunque, non è ancora una democrazia compiuta.
Penso alle elezioni. Noi siamo cresciuti facendo coincidere la democrazia con le elezioni: se si vota, vuol dire che siamo liberi. Ma sono liberi donne e uomini che temono, a ragione, che il loro voto possa servire non per determinare un governo ma per far riprendere una guerra civile? Non ascolteranno la paura, piuttosto che la speranza che la nostra democrazia solitamente affida alla scheda elettorale?
In autunno la Bosnia Erzegovina andrà alle urne; saranno le prime elezioni gestite direttamente dalle autorità bosniache. Quelle precedenti si sono svolte l'11 novembre del 2000 e per la prima volta hanno segnato la sconfitta dei tre principali partiti nazionalistici e la vittoria di una coalizione moderata, l'Alleanza per il Cambiamento. Allora le elezioni sono state gestite dalle Nazioni Unite e la gente ha deciso di investire sul proprio futuro. Oggi c'è qualche segnale di disimpegno dell'Onu ed il rischio è che nell'urna torni a prevalere la paura e con essa i partiti nazionalistici. E se questi vinceranno la nostra "forma democratica" non darà loro una patente di legittimità?
Anche per questo - mentre altri si ritirano - l'Europa ha deciso di restare in Bosnia Erzegovina. Lunedì 18 febbraio l'Unione Europea deciderà che una forza di polizia europea a fine anno sostituirà la forza di polizia dell'Onu. Sarà la prima operazione condotta dall'Unione Europea sotto il proprio comando, la prima applicazione concreta della politica europea di sicurezza e di difesa, dichiarata operativa al Consiglio europeo di Laeken nel dicembre scorso. Come dieci anni fa, l'Europa comincia in Bosnia una delle sue rivoluzioni.
Questa forza di polizia, nella quale i carabinieri italiani saranno parte determinante, avrà anche il compito di formare i poliziotti bosniaci. Rientrerà così in uno dei capitoli del nuovo investimento finanziario che a metà dicembre l'Unione Europea ha approvato per la Bosnia Erzegovina: tra quest'anno e il 2004 l'Unione investirà qui oltre 172 milioni di euro, non per l'economia ma per la stabilizzazione democratica (ad esempio per garantire la libertà di informazione), lo sviluppo delle istituzioni statali, la riforma delle dogane, l'amministrazione della giustizia. Insomma per costruire lo Stato. Perché "uno Stato che non c'è", come ha giustamente scritto la Difesa, è un pericolo per i bosniaci e un rischio per l'Europa.

10 febbraio 2002

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17 febbraio 2002
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