
Intervento in Senato per la ripresa dell'esame della
legge
Globalizzare la solidarietà
con la moderna
cooperazione allo sviluppo
Organismi non governativi ed enti locali aspettano la riforma di Tino Bedin
senatore
Già il fatto di non rinunciare all'approfondito e
condiviso risultato ottenuto in Senato nella scorsa legislatura è ragione sufficiente per
prendere in esame con urgenza il testo del disegno di legge sulla riforma della
cooperazione allo sviluppo. Già il ribadire, con la scelta che noi proponiamo al Senato
questa mattina, lo spirito unitario e non maggioritario in una materia come la
cooperazione internazionale che, secondo quanto recita l'articolo 1 del testo approvato in
Senato, è parte integrante della politica estera italiana, è ragione sufficiente, anzi
politicamente primaria, per riaffermare la volontà del Senato di ricercare nelle materie
internazionali la più ampia condivisione. Cercare di ripartire dal Senato, cioè dal ramo
del Parlamento che ha dimostrato di saper trovare una sintesi condivisa e non di basso
profilo, una soluzione prevalentemente parlamentare, anche se il Governo (in particolare
l'allora sottosegretario Serri) ha fornito un contributo determinante, è un altro buon
motivo per riprovarci.
C'è però un fatto nuovo rispetto alla seduta del 29 settembre 1999, quando il Senato
affidò il testo della riforma della cooperazione all'altro ramo del Parlamento. Allora la
legge per innovare il contenuto e il metodo della cooperazione italiana allo sviluppo
sembrava riguardare i protagonisti della materia e non i cittadini. Essendo stato
personalmente, per mandato del mio Gruppo parlamentare e per mia convinzione, tra i
sostenitori della necessità della legge, avevo potuto costatare come la nostra iniziativa
non avesse creato un vero dibattito nell'opinione pubblica. L'attenzione e l'attesa erano
certamente molto vive tra il volontariato internazionale, gli enti locali e le regioni,
impegnati nella cooperazione decentrata. Tuttavia, il dibattito nel Paese e nella società
non c'era. Forse è per questo che la Camera dei deputati da sola non è riuscita a
superare gli ostacoli, di natura parlamentare e burocratica, che alla fine sono risultati
vincenti.
Oggi non è più così; l'impoverimento del mondo lo dimostra e le cifre ormai note a
tutta l'opinione pubblica ne testimoniano le dimensioni. Anche le malattie del mondo
continuano a diffondersi, tanto che l'Aids diventa per il segretario generale Kofi Annan
il principale nemico contro cui le Nazioni Unite debbono combattere. La consapevolezza
dello stretto legame tra la qualità dello sviluppo e la sua quantità geografica cresce
mano a mano che la globalizzazione, da decisione economica, diventa esperienza di vita
concreta per miliardi di cittadini.
Certamente non a tutte queste sfide tocca alla cooperazione internazionale rispondere.
Vorrebbe dire fuggire dalla realtà ed imboccare una strada di illusioni pensare che
questo strumento sia quello principale per vincere le sfide di oggi.
Alcune delle cause dell'impoverimento esigono risposte altrettanto immediate che questo
disegno di legge, ma che non possono riguardare la cooperazione internazionale.
In un caso in particolare non devono riguardare la cooperazione internazionale e mi
riferisco al più tragico motivo di impoverimento: quello delle guerre e dei conflitti
interetnici. A questa tragedia occorre dare risposte in sede europea e di Nazioni Unite,
non facendo carico di essa alla cooperazione. È un punto qualificante del disegno di
legge il cui esame proponiamo di riprendere con una procedura abbreviata, un punto
condiviso dalla gran parte del Senato. Gli aiuti non devono arrivare sui camion militari e
le insegne della cooperazione internazionale non possono essere issate sui cannoni delle
navi.
Anche l'altra ragione di impoverimento deve essere tenuta fuori dalla cooperazione, in
questo caso dalla contabilità economica della cooperazione; mi riferisco al peso del
debito. Si tratta di una condizione che compromette la dignità della vita di milioni di
persone. Al peso del debito non si risponde con iniziative di partenariato solidaristico,
ma dal versante che ha prodotto il debito, cioè da quello economico, con la cancellazione
di somme ora sottratte alla salute, all'istruzione, all'abitazione.
Su un punto invece oggi la cooperazione internazionale deve dare una risposta: il progetto
di globalizzare la solidarietà e la responsabilità. Il disegno di legge approvato nel
1999 in Senato indica la strada anche attraverso un mutamento lessicale, là dove indica i
Paesi beneficiari come partner nella politica di cooperazione italiana allo
sviluppo, chiamandoli appunto Paesi cooperanti.
Il disegno di legge all'articolo 1 - quello concernente le finalità - indica gli
strumenti essenziali di questa globalizzazione della solidarietà e della responsabilità.
In quest'ottica e con questo obiettivo si potrà rivedere forse uno dei punti rimasti
aperti nel dibattito in Senato e che la Camera non ha completato: rendere efficace la
cooperazione internazionale anche attraverso le imprese.
Nell'ottica che ho detto e quindi con le regole che consentano di rispettarla, credo che
dobbiamo percorrere, almeno a livello di principio, un cammino dentro questa nuova legge
affinché essa diventi, per questo aspetto, una legge quadro, una legge di indirizzo per
altri provvedimenti almeno su tre temi. Il tema del lavoro, come strumento della dignità
umana, va promosso anche con la cooperazione internazionale e questo richiede la
concertazione delle imprese. Il tema del commercio, un commercio che equo e solidale non
può da solo risolvere il tema centrale degli scambi commerciali. Possono entrare in
questa legge altri strumenti affinché il commercio svolga la sua funzione primaria e
diventi una vetrina dove ciascuno mette le proprie ricchezze a vantaggio proprio e non
solo di chi mette la vetrina. Il tema dei compiti delle università per distribuire la
scienza, che risultano, nella nuova ottica, primari.
Il fatto che oggi l'impoverimento del pianeta sia diventato di attualità consente, a mio
avviso, di arricchire questo progetto. Il Gruppo della Margherita-L'Ulivo è aperto a
questi arricchimenti.
Crediamo però necessario dare una risposta immediata sia per le ragioni dette sia per
rispetto dei protagonisti della cooperazione. Mi riferisco, in particolare, ai due
soggetti che il disegno di legge approvato in Senato esalta.
Il primo è costituito dall'enorme movimento del volontariato, di ispirazione tanto
religiosa quanto laica, attivo in modo straordinariamente efficace ovunque la natura o
l'azione dell'uomo abbia messo a repentaglio la vita umana. Il volontariato italiano ha
conquistato sul campo, e da molto tempo, il diritto di essere considerato un soggetto
attivo di cooperazione.
Il secondo soggetto presente e valorizzato in questo disegno di legge è rappresentato
dalle comunità locali del nostro Paese, che puntano a diventare soggetti attivi di
cooperazione internazionale, sia per soddisfare una generosità spontanea sia per avere la
possibilità di trasferire esperienze preziose e consolidate di organizzazione sociale, di
partecipazione civile e di utilizzo delle risorse di cui i nostri enti locali sono
protagonisti.
Riguardo a questi due soggetti, il disegno di legge innova sostanzialmente la normativa e
consolida i risultati ottenuti dalla legge 49 del 26 febbraio 1987. Nella scorsa
legislatura in particolare, sia nell'elaborazione di questo provvedimento sia attraverso
la presentazione di un disegno di legge specifico, ci eravamo fatti carico di sostenere la
soggettività delle organizzazioni non governative del volontariato nella cooperazione
allo sviluppo, soprattutto in direzione delle articolazioni che il volontariato e tali
organizzazioni hanno assunto a livello europeo. Se in questa occasione e nelle prossime
settimane non si registrerà la volontà di procedere alla riforma della cooperazione nel
suo complesso, occorrerà almeno riprendere, da parte del Gruppo della Margherita,
l'ammodernamento delle normative riguardanti il volontariato.
La necessità che il Parlamento affronti rapidamente la riforma della cooperazione allo
sviluppo sta, infine, anche in una ragione procedurale: evitare che la normativa essa
venga innovata soltanto per via burocratica. Ciò renderebbe più difficile l'attività
del Parlamento, e questo da solo basterebbe a preoccupare. Ma una scelta in questa
direzione priverebbe poi di capacità operativa e contrattuale le organizzazioni non
governative e la cooperazione decentrata, essendo sempre lo stesso il soggetto che
programma, sceglie, controlla e finanzia. Il pluralismo sociale ne sarebbe impoverito.
11 luglio 2001
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