BRUGINE

Il 25 aprile celebra cose che sono sempre vive
Le speranze della democrazia
hanno consolidato la pace in Europa

Valori che possono dare risposte al terrorismo e alla tragedia del Medio Oriente

Il senatore Tino Bedin ha partecipato giovedì 25 aprile 2002 alle celebrazioni per l'anniversario della Liberazione organizzate dal comune di Brugine. Dopo le sante messe celebrate a Campagnola e a Brugine, la commemorazione si è svolta davanti al monumento ai caduti nella piazza principale del paese ed è stata introdotta dal sindaco Francesco Salata e svolta dal senatore Bedin.

commemorazione di Tino Bedin
per la Festa della Liberazione

La celebrazione di una cosa viva non è mai uguale a se stessa. La cosa viva che celebriamo il 25 aprile è la libertà. Festa della Liberazione, la chiamiamo; consapevoli che dal ritornare ad essere padroni del proprio destino, della propria terra, delle proprie idee, sono nate anche altre cose che sono vive e sono cresciute da quel 25 aprile del 1945.
La pace è la prima cosa che è nata e cresciuta dal 25 aprile. Ritornando ai suoi ricordi di ragazzo, il parroco nell'omelia ha ricordato il "silenzio delle armi" in quel giorno. Non si sparava più. Gli americani, che parlavano una lingua sconosciuta, non si facevano intendere con i fucili ma con le caramelle. Oggi è ricordo, allora il silenzio delle armi era la speranza più grande. Divenne un impegno per la politica, per i governanti.
Mai più guerra in Europa avevano promesso ciascuno al proprio popolo. Hanno stretto un patto fra di loro. Hanno mantenuto la promessa. E noi, la generazione venuta dopo, abbiamo rispettato questa eredità. La possiamo consegnare ai giovani, come qualcosa che ci appartiene. Perché la pace non è inevitabile. La tragedia che ha coinvolto i popoli che facevano parte della Jugoslavia ci ha duramente spiegato che vivere in pace è un esercizio difficile, al quale certo devono impegnarsi i governanti, ma che è soprattutto compito di ciascuno, delle donne e degli uomini che formano i popoli: con le loro scelte, con il loro voto.
La democrazia ha reso possibile la pace. Nei giorni della Liberazione gli italiani - spontaneamente, magari senza dirlo - decisero anche di scrivere finalmente un patto tra di loro. Diverso dai diritti che al popolo erano stati concessi dalla monarchia sabauda, perché erano gli italiani che decidevano come stare insieme. La conseguenza immediata del 25 aprile 1945 è l'Assemblea costituente e poi la Costituzione repubblicana. Figlia della volontà di pace, essa è madre della democrazia, cioè della volontà di mettere nelle mani di ciascuno la propria vita:
- un lavoro che è un diritto e non una concessione, tanto che fonda tutti gli altri diritti;
- una scuola per tutti, cioè per mettere tutti i ragazzi italiani alla stessa partenza;
- una salute per tutti, che dipende dall'essere persone e non dall'avere denaro;
- una vecchiaia che non sia di peso per sé e per gli altri.
Tutte conquiste della democrazia (anzi fondamenta della democrazia vera), tutte conquiste di quella Liberazione.
La condivisione. Non conquiste solitarie. Non risultati individuali. Conquiste diventate grandi perché in molti, tutti sono stati chiamati a collaborarvi. Nessuno poteva pensare di progredire da solo, senza che altri seguissero.
Così questa festa è negli anni diventata sempre più la Festa nazionale: Festa di un popolo che dalla radici della tragedia e della guerra, ha fatto fiorire non solo il "fiore" della libertà, ma anche quello della giustizia e del benessere.
Le sfide di questo tempo. Ma questo 25 aprile non è uguale agli altri. In questa primavera abbiamo negli occhi e nel cuore sfide nuove.
L'aereo che si è schiantato addosso al grattacielo Pirelli a Milano ci ha riportati nell'angoscia. L'angoscia di una guerra nuova, mondiale, sconosciuta che ci accompagna dall'11 settembre. Nostri militari sono lontani, sono in Afghanistan. Sono diecimila i soldati italiani nel mondo, impegnati a difendere la pace e ad evitare conflitti, ma per la prima volta questi che sono in Afghanistan partecipano ad un'azione di guerra. Per la prima volta sono lì non solo per difendere civili indifesi, ma per difendere anche noi.
Sappiamo però che la risposta militare non basta. Sappiamo che anche le forme nuove di violenza e forse di guerra fanno parte della globalizzazione. Questa ha i rischi e le opportunità, ma non possiamo che viverla; non ci è consentito rifiutarla.
L'11 settembre ha fatto cadere il muro tra Nord e Sud del mondo. La sfida nuova non è solo la lotta al terrorismo, ma la costruzione di una giustizia globale.
Ci tocca da vicino la globalizzazione. Mette in gioco l'identità. Ci fa convivere con la diversità. I nostri fiori della libertà profumano e attirano altre persone tra noi.
La guerra in Palestina. Questo 25 aprile è diverso anche per la guerra che c'è in Palestina.
Terra Santa, la chiamiamo, non per rivendicare diritti, ma per chiedere rispetto; per dire che quella terra ha dato troppo sangue, Sangue divino e sangue umano, sempre innocente; per non chiedere di fermare la guerra.
Celebriamo il 25 aprile per ribadire che l'Europa vuole essere a fianco degli ebrei, che l'Europa che ha vissuto l'Olocausto sa di essere figlia anche della risposta di giustizia al nazismo e alla sua violenza. L'Europa di oggi, l'Europa della tolleranza e della libertà, celebra la sconfitta del nazismo e del fascismo, anche facendo memoria dell'Olocausto.
Ma ancora una volta celebriamo questo 25 aprile per dire che la guerra da sola provoca guerra, che la violenza non pacificherà mai gli animi.
Solo chi ha speranza è pacifico. L'Europa si è data una speranza e vivendola ha vinto la logica della guerra.
L'Europa chiede di poter mostrare anche agli altri quello che è stata capace di fare. Questo è il senso del suo impegno in Medio Oriente. Questo è un modo per continuare a vivere la gioia della Liberazione, la gioia del 25 aprile 1945.

25 aprile 2002

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27 aprile 2002
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