VECCHIAIA

ANTOLOGIA

Gli anziani nella pandemia

Per chi muore senza funerale, per chi è isolato dei familiari
I giorni dell'irrimediabile solitudine
Oggi, per la prima volta, al fronte vanno gli anziani e i giovani li salutano
dal marciapiede della loro età

La Repubblica
13 marzo 2020
Vittorio Coletti
La solitudine rassegnata dei nostri vecchi nelle case di riposo e di noi che vorremmo portare loro un po' di compagnia C'è anche un luogo meno frequentato e noto da cui osservare la nostra società ai tempi della nuova epidemia. Sono le case di riposo, le residenze per gli anziani, per gli affetti da malattie neurodegenerative. Le necessarie precauzioni per limitare i contatti e quindi i contagi, diventate ora più stringenti e severe, stanno di fatto tenendo fuori da questi luoghi i parenti dei malati, con quell'insieme di attenzioni affettuose, compagnia e cure personalizzate e aggiuntive che, direttamente o attraverso badanti esterne, essi assicuravano ai loro cari.
Va detto che in queste residenze il personale è in genere magnifico, affettuoso, generoso, disponibile. Davvero l'Italia che lavora e non scappa. Ma è chiaro che, dati i numeri, il personale non può sopperire all'assenza dei congiunti.
I parenti che escono da questi ambienti e non vi rientreranno fino a quando durerà l'epidemia guardano col cuore piccolo i loro cari, vecchi diventati bambini inermi e disperati; non sanno se e come li ritroveranno fra qualche settimana o mese. Loro, i pazienti, li vedono uscire con sgomento, a mani virtualmente tese, quasi consapevoli, anche i meno lucidi, dello strappo che sta per straziarli ulteriormente, grazie al virus venuto da lontano ad aggiungere altri dolori ai loro già troppo numerosi e irrimediabili.

La Stampa
14 marzo 2020
Mattia Feltri
Penso che i vecchi della mia città abbiano colto la dimensione della sciagura leggendo i necrologi dell'Eco di Bergamo. Non sono stupidi i vecchi, piuttosto hanno sempre letto il giornale col distacco di chi al mondo ne ha viste tante, e non è lo sperpero di aggettivi a incantarli. Quand'ero bambino, i vecchi leggevano l'Eco di Bergamo al bar, girando le pagine e soffermandocisi con fugace attenzione, ma quando arrivavano ai necrologi si aggiustavano gli occhiali con la punta dell'indice e dedicavano alle parole la sacralità del raccoglimento. I miei nonni e gli zii e i vecchi della nostra cascina ci si intrattenevano con puntiglio, rintracciando amici, antiche conoscenze, ricostruendo filiere di parentela, speculando sull'età dei defunti e sulla loro di sopravvissuti, e sempre scuotevano il capo.
Anche noi bambini li guardavamo, assorti e sbigottiti sulle foto di facce vive ormai morte e sulle piccole croci nere a separare un necrologio dall'altro, esordienti dentro l'unico mistero e l'unica verità: si nasce e si muore. Per noi e per i vecchi, ecco come stanno le cose, tutto il resto era opinabile, discutibile, ma il necrologio era il fatto nella sua incontrovertibile e spaventosa purezza.
L'orrore della contabilità di questi tempi - infettati, posti letto e bare allineate della mia bella, pulita, civile, ritrosa e generosa città, dove da giorni si celebra un funerale ogni mezzora - è stata infine scolpita nel marmo nelle pagine dei necrologi dell'Eco. Erano tre, poi quattro, cinque, l'altro ieri nove, ieri dieci. Dieci pagine di necrologi. Mi sono aggiustato gli occhiali, e le ho lette tutte.

Corriere della Sera
15 marzo 2020
Tino Bino
Andarsene così, nella solitudine dagli affetti. Senza un passo d'addio, senza un rito di commiato. Capita, ai soccombenti nel tempo del corona virus, decine di concittadini, che diventano numero, la statistica dei decessi, bresciani per lo più anziani già fragili, maggiormente esposti alla falcidia, privati della cerimonia di suffragio. È la sequenza più crudele di questi giorni irrimediabili, lo ricorderemo come un frammento di disumanità. Perché è come voler disperdere i ricordi di tante storie, archiviare anonimamente una vita. Non è solo rubare il tempo a chi se ne va. Ma è rubare il tempo di vita degli altri, di noi, dei giovani. La vera eredità delle nostre vite è il tempo che costruiamo e che lasciamo agli altri.

La Repubblica
15 marzo 2020
Vittorio Coletti
È forse la prima volta da un secolo a questa parte che la minaccia di una morte di massa incombe soprattutto sui vecchi. Sembra paradossale, ma i più protetti da essa sono stati a lungo proprio i vecchi, che sono morti, per così dire, individualmente, ma mai in massa, come, ad esempio, i giovani italiani uccisi dalla prima Guerra Mondiale. L'età media degli oltre 700 mila deceduti durante o a causa di essa era di 25 anni. Degli oltre 400 mila morti ufficiali della seconda (tra militari e civili), l'età media era certo più alta, ma tra i militari e in genere tra i caduti in azioni di guerra restava ampiamente nell'ambito anagrafico della giovinezza (ben sotto i quaranta).
Durante la terribile spagnola del 1918, che arrivò a uccidere in Italia 9000 persone in un giorno (in tutto circa 50 milioni nel mondo), l'età media dei morti stava tra i 20 e i 40 anni e i medici erano colpiti dal fatto che i vecchi ne erano meno toccati, anche se non esenti.
L'asiatica degli anni Cinquanta colpì un po' indiscriminatamente, e soprattutto i già malati; tuttavia le fonti ricordano che gli unici immunizzati furono gli ultrasettantenni che erano passati indenni o sopravvissuti alla precedente spagnola. La tubercolosi, male del secolo, colpiva specialmente persone giovani, come ben si sa.
La poliomielite, altra malattia a lungo endemica prima del vaccino, infieriva soprattutto sui piccoli.
Insomma, le grandi ragioni di morte collettiva del xx secolo hanno bersagliato in modo particolare i giovani. A loro è toccato avere paura, mostrare coraggio, rischiare di più.
Oggi, per la prima volta in misura così evidente, il pericolo incombe sui vecchi in massa.
Questa volta al fronte vanno gli anziani e i giovani li salutano dal marciapiede della loro età, che il virus tende per fortuna a risparmiare, dopo averla tanto angariata in precedenti occasioni.

Estratti degli articoli e titolazione generale a cura della redazione di Euganeo.it

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2 aprile 2020
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