SAN GIORGIO IN BOSCO

A 57 anni dalla rappresaglia nazista a Sant'Anna Morosina
Consapevolezzo della storia
per vedere meglio i rischi di oggi

Scoperta una lapide che indica nell'Europa la strada per superare definitivamente i conflitti

Nella serata di lunedì 29 aprile 2002 è stata scoperta una lapide affissa sulla facciata del centro parrocchiale di Sant'Anna Morosina, in comune di San Giorgio in Bosco. Essa ricorda la rappresaglia nazista che il 29 aprile del 1945 seminò terrore e morte da Sant'Anna a Castello di Godego passando per Abbazia Pisani e San Martino di Lupari. La lapide dice: "A perenne ricordo di quel giorno doloroso per inumana rappresaglia nazista, consumata nell'incerto discrimine fra guerra e pace, da popoli allora nemici, ora amici in un'Europa civile, riconciliata e solidale".
Prima dello scoprimento della lapide, è stata celebrata una messa nella chiesa parrocchiale ed è stata deposta una corona alla stele che riporta i nomi delle vittime. Ha quindi parlato il sindaco Leopoldo Marcolongo. Il senatore Tino Bedin ha tenuto la commemorazione ufficiale.

commemorazione di Tino Bedin
per la Memoria dell'eccidio del 29 aprile 1945

Siamo di nuovo qui, 57 anni dopo, a ricordare l'eccidio di Sant'Anna Morosina, tappa di una via crucis tragica imposta dai nazisti in questa parte della provincia di Padova. Il 29 aprile come giorno della memoria e della pietà verso le persone di San'Anna Morosina trucidate. Siamo di nuovo qui per onorare per condividere il miracolo della vita con chi è scampato alla follia e con chi è tornato dalla guerra: due condizioni diverse, accomunate dal comune rischio, dalla comune speranza ed ora dal comune ricordo.
"Voi avete conservato il ricordo, e non l'avete fatto per mantenere vivo l'odio o per vendicarvi. L'avete fatto per amore del futuro, del nostro futuro comune". Sono parole che Johannes Rau, presidente della Repubblica federale tedesca ha pronunciate il 17 aprile di quest'anno davanti ai superstiti di Marzabotto. Sono parole pronunciate davanti a voi, davanti alle famiglie di Sant'Anna Morosina, davanti ai superstiti dell'eccidio. Ma pronunciate anche davanti alle famiglie di Santa Giustina in Colle e a quelle di Saonara e di tanti altri nostri paesi.
Fino a che vi è stato chiesto perdono. Johannes Rau ha scelto Marzabotto per l'enormità di quella offesa alla vita, ma anche qui come lì "arrivarono gli assassini che indossavano l´uniforme nera, come le iene, per cancellare ogni traccia di vita umana" ha detto, sentendosi "pervaso da un profondo senso di dolore, lutto e vergogna ", il presidente tedesco. E chiedendo perdono, perché se "la colpa ricade solamente su chi ha commesso quei crimini", "le conseguenze di quella colpa devono invece affrontarle anche le generazioni successive". Siamo di nuovo qui dunque, a Sant'Anna Morosina, davanti a questa lapide: ma non è una ripetizione. Per la prima volta dopo 57 anni vi viene chiesto perdono.
Già questo è il segno che la memoria della Liberazione, della Resistenza, la conservazione della verità di quei giorni hanno un valore profondo.
Il perdono non cancella la storia, non la cambia. Il perdono è più dell'oblio imposto dalla vita che continua, dal presente che ha i suoi protagonisti e i suoi progetti.
Il perdono implorato, il perdono condiviso si fonda non sull'oblio ma sulla consapevolezza del passato. Per l'impegno che richiede esso non solo conferma che non bisogna dimenticare, ma costringe a tenere lo sguardo vigile, "per individuare le ideologie criminose e aberranti, piene di disprezzo per la vita, che possono conquistare il potere sugli uomini", e che noi, insieme, "dobbiamo combattere": sono ancora parole del presidente tedesco Johannes Rau.
Chi stava dalla parte dell'Italia. La consapevolezza della storia, la verità di quei giorni: ecco un'altra ragione per ritornare qui. "La storia - ci ha spiegato il presidente Ciampi proprio celebrando questo 25 aprile - è un'azione di ricostruzione lenta e paziente, va arricchita ogni giorno di nuovi approfondimenti e testimonianze, e ciò non ha nulla a che fare con un improponibile revisionismo".
Tragedie come questa di Sant'Anna Morosina dicono da sole che le responsabilità non vanno azzerate e che non si possono rincorrere "parificazioni" impossibili tra chi stava dalla parte dell'Italia e chi stava dalla parte degli occupanti.
E chi erano quelli che stavano dalla parte dell'Italia? C'è stata la "Resistenza attiva" di "chi prese le armi in pugno, partigiani e soldati", e c'è stata la "Resistenza silenziosa della gente che aiutò feriti, fuggiaschi e combattenti", e la "Resistenza dolorosa dei prigionieri nei lager in Germania e Polonia e rifiutò di collaborare".
Anche di questa parte della verità e della storia si fa carico la celebrazione di stasera a Sant'Anna Morosina con lo scoprimento di una lapide a perenne ricordo di quel giorno doloroso.
Siamo appena stati alla Santa Messa. Il suffragio è quanto ci è dato di condividere con le vittime. Ma anche questa celebrazione è un rito. Il rito civile - come quello religioso - costruisce, nel corso degli anni e delle generazioni, la nostra identità collettiva. Nessun paese infatti può fare a meno della propria storia e memoria, può permettersi di tagliare impunemente le proprie radici, senza che venga messa a rischio la propria identità e il suo futuro di nazione.
La promessa per l'Europa, la speranza per tutti. Anzi il suo futuro intero, quello che possiamo costruire.
E lo dice chiaramente la lapide. Non è solo memoria quella di stasera, è indicazione di futuro.
Veniamo tutti dal 25 aprile; dalla tragedia siamo usciti "con un'idea chiara: costruire un'Europa generatrice di pace, di valori, libertà, giustizia" e verso questo "comune destino il consenso dei cittadini europei è forte e crescente". L´Unione europea si fonda "non sul tempo che affievolisce il ricordo ma sulla memoria che deve dare anima alle istituzioni".
Mai più guerra in Europa avevano promesso i governanti, ciascuno al proprio popolo. Hanno stretto un patto fra di loro. Hanno mantenuto la promessa. E noi, la generazione venuta dopo, abbiamo rispettato questa eredità. La possiamo consegnare ai giovani, come qualcosa che ci appartiene.
L'Europa che insieme stiamo costruendo ha ormai imboccato la strada della Difesa comune. Siamo, certo, all'inizio di un percorso che non potrà che essere lungo e prudente e sperimentale (come lo è stato il cammino che ha portato all'euro). Ma siamo già in marcia.
Così questa celebrazione della fine di una guerra è anche una sfida per i giovani, giovani italiani e giovani europei, ad immaginare non solo un futuro senza guerra, ma un futuro senza… nemici in Europa. Sappiamo che la pace non è inevitabile. La tragedia che ha coinvolto i popoli che facevano parte della Jugoslavia ci ha duramente spiegato che vivere in pace è un esercizio difficile, al quale certo devono impegnarsi i governanti, ma che è soprattutto compito di ciascuno, delle donne e degli uomini che formano i popoli: con le loro scelte, con il loro voto.
Da Italiani, da Europei celebriamo la fine della guerra sul nostro continente anche per dire al mondo, in particolare alla Terra Santa, che la guerra da sola provoca guerra, che la violenza non pacificherà mai gli animi.
Solo chi ha speranza è pacifico. L'Europa si è data una speranza e vivendola ha vinto la logica della guerra.
L'Europa chiede di poter mostrare anche agli altri quello che è stata capace di fare. Questo è il senso del suo impegno in Medio Oriente. Questo è un modo per continuare a vivere la gioia della pace.

29 aprile 2002

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30 aprile 2002
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