ECONOMIA E LAVORO

La Finanziaria per il 2002 e l'Italia in Europa
Berlusconi si accontenta
di un solo anno di stabilità finanziaria

Mai viste "una tantum" così numerose per far quadrare i conti; ma intanto impone ai Comuni di fare i virtuosi

di Tino Bedin
segretario della Giunta per gli Affari europei dei Senato

C’è una buona notizia per gli italiani in questa finanziaria: il "buco" non c’è più. Nero su bianco la Finanziaria riconosce che l’indebitamento netto di quest’anno va verso l’obiettivo dello 0,8 per cento del Pil, previsto per il nostro Paese dal Patto di Stabilità. Ed anche questa è una buona notizia. Lo è in particolare per la Giunta affari europei del Senato.
Ovviamente siccome non è possibile fare marcia indietro dalle dichiarazioni televisive del ministro Tremonti, la presentazione della Finanziaria dice che il merito è dei "cento giorni". Poiché risulta poco credibile che in tre mesi si sia riusciti a coprire l’equivalente della manovra di bilancio che si mette in campo per il 2002, cioè oltre 16 miliardi di euro, è evidente che si tratta di una giustificazione, che prendiamo per quella che è, cioè l’ammissione che non esistono "cambiali europee" lasciate in eredità a questo governo.
Questo è tanto più vero se si considera che con un aggiustamento di poco superiore ai 17 miliardi di euro, la legge Finanziaria – leggo testualmente - assume come obiettivi di finanza pubblica i "target" concordati con l’Unione Europea: un indebitamento netto pari allo 0,5 per cento del Pil nel 2002; il pareggio di bilancio nel 2003, come previsto. Invece le presunte manovre dei cento giorni avrebbero abbassato l’indebitamento netto per il 2001 dall’1,9 per cento al già citato 0,8 per cento del Pil.
L'Italia difenderà il Patto di stabilità? Detto questo per chiarezza e non per polemica, è certamente condivisibile che il Governo abbia scelto il patto di stabilità come uno dei tre pilastri della sua prima legge finanziaria.
Questo sta bene. Ci saremmo però aspettati dal ministro Tremonti sia nella relazione scritta che nella sua presentazione al Senato almeno un passaggio su un dibattito che è aperto in Europa e al quale il Governo italiano non è estraneo, anzi in certa misura lo ha alimentato: mi riferisco alla eventualità che si possano rivedere i contenuti del Patto di stabilità in considerazione della situazione economica europea e mondiale. Ci saremmo aspettati che nel dichiarare la volontà di rispettare i vincoli del Trattato e del Patto di stabilità, il governo italiano ci dicesse che intende comunque rispettarli e che nel dibattito in corso l’Italia assume una posizione virtuosa di uscita definitiva dal deficit.
Non trovo traccia di questo.
Mancano le spese per la difesa dal terrorismo. Così come non trovo traccia non solo nella Finanziaria, a neppure nell’introduzione di Tremonti delle conseguenze per l’Unione Europea dello scoppio della guerra terroristica l’11 settembre: mi riferisco in questo caso non tanto alle conseguenze economiche (cui Tremonti fa riferimento), ma piuttosto alle azioni positive che l’Europa in quanto tale dovrebbe assumere sul piano della sicurezza e della difesa, con conseguente aumento delle risorse finanziarie da destinare a questo settore. Anche il bilancio della nostra Difesa non ha subito variazioni. Segno che la guerra terroristica si intende affidarla interamente agli anglo-americani?
Troppe le entrate "una tantum". Ritorno ora alle cifre. Il Patto di stabilità ha senso perché punta a misure che siano appunto stabili: cioè che diano fondamenta non solo solide ma anche durevoli alla moneta unica. Su questo punto la composizione della manovra finanziaria si fa notare per la significativa prevalenza degli interventi sulle entrate, pari al 73,9 per cento del totale, rispetto alle misure di spesa, pari al 26,1 per cento. Rispetto alle manovre dalla seconda metà degli anni Novanta si tratta dell’intervento maggiormente sbilanciato, oltretutto se si considera la forte incidenza, nell’ambito della legge finanziaria, di nuove spese aggiuntive.
Questo aspetto introduce un altro elemento di perplessità proprio in riferimento al Patto di stabilità. Mi riferisco al carattere, "strutturale" o temporalmente limitato, degli interventi.
Gli interventi della legge finanziaria 2002 mostrano un modesto grado di incisività a lungo termine sugli equilibri della spesa e sulle entrate pubbliche. Le misure temporalmente limitate sono prossime al 70 per cento del totale dell’intervento, cioè poco meno di 12 miliardi di euro. Gli interventi una tantum: cartolarizzazione, emersione del sommerso, rivalutazione dei beni, rientro dei capitali sono presenti in una percentuale sensibilmente superiore alle manovre degli anni precedenti. Si supera anche la percentuale piuttosto elevata delle manovra del 1995 (governo Berlusconi) e del 1997 (governo Prodi) quando però furono adottate misure straordinarie, come l’eurotassa (6.456 milioni di euro), senza le quali la percentuale di una tantum era a livelli fisiologici, cioè pari al 26 per cento della manovra.
Credo interessante questa sottolineatura non solo perché è un elemento sul quale il Parlamento dovrà vigilare perché potrebbe determinare uno scostamento dal Patto di stabilità, ma perché può aiutarci a "leggere" il silenzio sul dibattito in corso in Europa a proposito di una diversa articolazione dei parametri del Patto: forse il governo fa conto che queste siano davvero delle una tantum destinate a far passare solo quest’anno, perché poi forse ci saranno criteri nuovi.
Noi non ce lo auguriamo.
I Comuni di nuovo dipendenti da Roma. Continuo con il Patto di stabilità, su altri due aspetti. Le osservazioni brevi che faccio nascono dal lessico scelto dal governo, che dedica l’articolo 15 al Patto di stabilità interno per province e comuni. La Giunta per gli affari europei del Senato è sempre stata attenta a questo aspetto, cioè alla compartecipazione del sistema generale della nostra Repubblica al raggiungimento del Patto e quindi il titolo ci interessa.
È che questo criterio è utilizzato dal governo non per realizzare un sistema generale di partecipazione europea, ma per riaccentrare molte decisioni e per tagliare dall’alto le risorse degli enti locali. La parola "obbligo" ricorre frequentemente nel testo della Finanziaria e nelle spiegazioni che ne vengono date: gli enti locali sono "obbligati", non coinvolti. Senza contare che non è chiaro se questa manovra sia aggiuntiva e non sostitutiva rispetto alla legge 388/2000, cioè alla finanziaria per quest’anno.
A proposito di quest’ultima legge voglio ricordare che non il governo e il parlamento, ma le conferenze Stato-Regioni e Stato-città ed autonomie locali sono la sede di valutazione in corso dell’anno, degli andamenti della finanza regionale e locale. Mi auguro che questo coinvolgimento sia ripristinato, anche in conformità con le politiche dell’Unione Europea che sempre più frequentemente passano attraverso le regioni e i comuni.
La scelta è necessaria anche in riferimento ad un tema politico più generale: se il Patto di stabilità verrà presentato come la fonte della riduzione delle capacità di intervento degli enti locali corriamo il rischio che proprio al livello da cui deve svilupparsi lo spirito europeo, cioè il livello comunale, l’Europa sia invece colta come la fonte di ogni divieto, da quello della bistecca con l’osso a quello della circolazione della auto alla domenica e domani a quello di dare servizi ai cittadini.
La privatizzazione forzosa dei servizi pubblici. Per questo motivo, concludo con una esigenza, quella di cambiare il titolo del Capo III "Patto di stabilità interno per gli enti pubblici". E’ stato messo per mettere la foglia di fico europea su una serie di norme che possono benissimo avere per titolo: privatizzazione forzosa dei servizi pubblici. Non vedo perché chiamare in causa l’Europa, visto che basta il programma della maggioranza.
Dimenticata la "società della conoscenza". Sugli aspetti tecnici, la Finanziaria manca di una scheda di lettura europea, cioè della descrizione dei passaggi preventivi e successivi che devono essere fatti in sede di Unione Europea. La stessa maggioranza ha evidenziato possibili incompatibilità comunitarie di alcune norme, ma si accontenta di qualche considerazione del commissario Monti. Il Parlamento ha bisogno di atti istituzionali, per poter decidere se – ad esempio – una serie di sgravi contributivi che interessano il Sud potranno diventare effettivi o non daranno vita ad un contenzione europeo.
Ma anche sul merito della scelte per il sostegno dell’occupazione va fatta una osservazione conclusivamente negativa sulla Finanziaria del governo Berlusconi in riferimento alle politiche dell’Unione. La Finanziaria riduce gli stanziamenti previsti per la innovazione tecnologica; interrompe il ciclo progressivo di investimenti nella "società della conoscenza" che erano stati avviati dalle ultime finanziarie. Questo è in controtendenza con le politiche europee per l’occupazione e la occupabilità, che dal consiglio europeo di Lisbona in avanti stanno facendo dell’innovazione e della società della conoscenza le leve attraverso le quali consentire ai giovani europei di essere protagonisti in Europa e nel mondo.

11 ottobre 2001
Intervento nella Giunta per gli Affari europei del Senato a nome dell'Ulivo

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12 ottobre 2001
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