i-ag002

Commissione Agricoltura del Senato
Interventi a favore degli allevamenti
colpiti da influenza aviaria
e da altre malattie epizootiche
Disegno di legge dei senatori Bedin e Piatti (Atto Senato 4510)

Relazione del senatore
Tino Bedin

Negli ultimi mesi del 1999 alcune aziende sanitarie locali sono state poste in allarme per la comparsa di ceppi di influenza ad alta virulenza, denominata "influenza aviaria", che ha comportato l’adozione da parte delle autorità di numerosi provvedimenti urgenti, fra cui l’abbattimento di interi allevamenti di tacchini, polli e faraone. La malattia ha anche causato la morte di molti animali, prima che si potesse provvedere agli abbattimenti.
Mi sembra utile, prima di procedere nella illustrazione della situazione e del provvedimento legislativo che essa ha suggerito, premettere alcune annotazioni di inquadramento.

Le norme in vigore e la loro attuazione
Innanzi tutto l'ambito normativo. Esso è prevalentemente comunitario. Ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.656/97, recante il regolamento di attuazione della direttiva 92/40/CEE che istituisce misure di lotta contro la influenza aviaria, si intende per "influenza aviaria" una infezione di tacchini e polli causata da qualsiasi virus A dell’influenza avente un indice di patogenicità superiore a 1,2 nei pulcini di 6 settimane, ovvero per i sottotipi H5 e H7 con alcune particolarità.
La normativa sanitaria sulla materia prevede, oltre alle misure di "blocco" dell’allevamento, l’abbattimento e la distruzione di tutti i capi presenti in azienda e la distruzione o completo risanamento dei materiali e delle strutture.
Misure restrittive sono poste anche per tutte le aziende con specie sensibili alla malattia che ricadono nella zona di protezione (raggio di 3 Km) e di sorveglianza (10 Km).
Le misure di prevenzione adottate - sulle quali ritornerò brevemente più avanti - hanno ridotto ma non del tutto evitato l’ulteriore propagazione del virus, poiché si sono avuti ulteriori focolai anche nel mese di marzo.
Le regioni hanno adottato provvedimenti per imporre il depopolamento degli allevamenti nelle zone di protezione e sorveglianza, poiché l’unica misura consentita dalle norme comunitarie e nazionali vigenti è l’eradicazione attraverso l’abbattimento.
Dopo gli abbattimenti, alla fine dei periodi di fermo, imposti dalla normativa sanitaria comunitaria, terminate le operazioni di disinfezione, si potrà provvedere ai riaccasamenti, secondo le norme di biosicurezza emanate dalle regioni. Al momento nelle province maggiormente colpite (Mantova, Padova, Verona, Brescia, Cremona, Vicenza, Bergamo) c’è praticamente una situazione di fermo totale dell’attività.

Un settore vitale ed avanzato dell'economia italiana
Si tratta - ed è il secondo elemento di quadro che mi sembra utile fornire - dell'attività di un settore che è riuscito a coprire il fabbisogno nazionale, con una grande produzione di ricchezza interna ed ha insegnato a tutti l'arte dell'allevamento dei polli. Quelli italiani, sono i migliori allevatori di polli del pianeta, anche se negli ultimi tempi alcuni paesi ci hanno superato dal punto di vista tecnologico.
Nessuno può disconoscere la validità del settore oggi colpito, un settore guida nel comparto agroalimentare, che ha reso il nostro paese leader nel mondo. Tuttavia, anche all'interno di questa realtà vi è un certo pluralismo di organizzazione, di vedute e di impostazione. Non si può inoltre ignorare che circa 13 milioni di capi debbono essere abbattuti.
Questo momento di grandi problemi deve dunque essere utile anche per ottimizzare situazioni che hanno mostrato punti di debolezza; in particolare per assicurare quei requisiti di sicurezza che avrebbero consentito di continuare a mantenere redditiva l'attività senza perdite. Ma, proprio per le caratteristiche di questo comparto agroalimentare e per la professionalità che esso sta dimostrando nell'emergenza, la ristrutturazione deve avvenire con la concertazione e la condivisione.

Nessun rischio per i consumatori
Infine, nell'inquadramento iniziale del problema che abbiamo di fronte, è opportuno sottolineare che tutte le informazioni in possesso del Ministero della sanità e dell'Istituto superiore di sanità sull'influenza aviaria concordano nell'escludere che l'evento abbia qualunque possibile impatto - diretto o indiretto - sulla salute umana, il che è stato certificato anche dai funzionari dell'Unione europea venuti in Italia a verificare lo stato della malattia e le iniziative messe in opera dal Governo e dalle autorità regionali per contenere l'epidemia. Dobbiamo quindi evidenziare l'assoluta assenza di problemi per la salute umana.

La prima fase e le norme incomplete dell'Unione Europea
Con quest'ultima, importante annotazione, siamo tornati all'attualità del problema.
Per quanto riguarda la dinamica degli eventi, ricordo che la crisi si è evoluta in due fasi. L'allarme degli ultimi mesi del 1999 non è stato infatti il primo. Quel periodo viene segnalato come la fase dalla quale è stato possibile, sulla base della normativa europea, applicare gli interventi da quest'ultima previsti. Ma già prima di allora sia il ministero della Sanità che le regioni interessare si erano attivati, con la collaborazione responsabile degli allevatori.
A partire dalla fine di marzo del 1999 erano stati infatti riscontrati in allevamenti di tacchini del Veneto e della Lombardia sintomi clinici causati da virus influenzale aviare.
Gli accertamenti di laboratorio - ha riferito con puntualità il ministro della Sanità Rosy Bindi - hanno portato all'isolamento di un virus influenzale aviare appartenente al tipo H7N1 a bassa patogenicità, diverso dal virus responsabile dei focolai di influenza aviare (H5N2 ad alta virulenza) che avevano interessato solo allevamenti a carattere rurale nel periodo tra ottobre del 1997 e il gennaio 1998. Tale virus a bassa patogenicità determinava comunque mortalità elevata nei tacchini degli allevamenti a carattere industriale.
Si può supporre che la circolazione di tale virus fosse in atto già da qualche tempo.
Non potendosi procedere, sulla base della direttiva 92/40/CEE relativa alle misure comunitarie di lotta contro l'influenza aviaria (recepita, come ho già ricordato, nell'ordinamento nazionale con il decreto del Presidente della Repubblica n. 656 del 1996), all'abbattimento degli animali, previsto solo nel caso di isolamento di virus ad alta patogenicità, il ministero della Sanità ha concordato con i servizi veterinari delle due regioni colpite una serie di misure sanitarie negli allevamenti al fine di limitare la diffusione del virus.
L'attuazione delle misure consistenti essenzialmente in controlli sierologici, controllo delle movimentazioni, disinfezioni, norme per lo smaltimento delle carcasse e della pollina ha permesso di controllare l'infezione con l'estinzione dei focolai nelle province di Brescia, Mantova, Cremona, Ravenna e Vicenza e nella maggior parte dei comuni della provincia di Verona.

Gli interventi dopo il riconoscimento dell'alta patogenicità
Come ho detto all'inizio, a partire dal mese di dicembre del 1999 il virus dell'influenza aviare si è manifestato con uno stipite ad alta patogenicità ed ha determinato l'insorgenza di numerosi focolai di malattia negli allevamenti a carattere intensivo della Lombardia e del Veneto e la comparsa di focolai sporadici in Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Piemonte nonché in allevamenti rurali in Emilia-Romagna, Sicilia, Trentino-Alto Adige ed Umbria.
Alla data del 21 marzo 2000 - secondo i dati forniti dal ministro Rosy Bindi - i focolai accertati nelle due regioni maggiormente colpite sono stati 356 su un totale di 373 focolai. In totale risulterebbero colpiti 13 milioni di volatili tra polli, galline ovaiole, tacchini e fagiani. Il picco epidemiologico ha raggiunto il suo massimo nel mese di gennaio con punte di 28 e 31 focolai per settimana, rispettivamente in Veneto e Lombardia.
Occorre altresì sottolineare che di recente l'infezione sembra espandersi, oltre che per contiguità territoriale, anche per contiguità funzionale, che interessa gli allevamenti appartenenti a gruppi integrati.

Il rischio resta aperto anche se i casi sono in diminuzione
Attualmente si registra una fase di diminuzione dei focolai legato ai piani di depopolamento (abbattimento degli animali sani in alcune zone particolarmente a rischio sia per la presenza di focolai che per l'elevata densità di animali allevati, al fine di diminuire la popolazione sensibile), diminuzione che però in Lombardia risulta meno evidente poiché la fase di vuoto sanitario in questa regione risulta di più complessa attuazione dato il notevole numero di animali da eliminare (circa 10 milioni).
C'è anche il clima, con la fine dell'inverno, che favorisce il calo di manifestazione della malattia. Non dobbiamo però illuderci che l'innalzamento delle temperature possa determinare la scomparsa del fenomeno. Lo sottolineo, perché questa concomitanza potrebbe far ritenere che la influenza aviaria sia in qualche modo superata e che l'intervento legislativo magari non abbia - come invece ha - quella urgenza che allevatori, governo e regioni continuano a sostenere. Occorre insomma mantenere alto il livello di vigilanza e di attenzione per evitare che si sviluppi ulteriormente.
I temi da affrontare sono sicuramente quelli dell'emergenza, ma anche quelli - come ho già avuto modo di anticipare - di una ristrutturazione del settore che eviti il ripetersi di tragedie come quella che stiamo esaminando.

La determinazione dei danni diretti: un'estensione delle norme UE
Alcuni allevamenti sono fermi dal dicembre 1999; nelle zone via via colpite si sono avuti successivamente gli abbattimenti ed il blocco totale dell’attività.
Per quanto riguarda i danni, gli effetti diretti derivano dalle morie e dagli abbattimenti: i capi muoiono o vengono abbattuti proprio a causa della rapidità micidiale con cui si diffonde il virus; in pratica, nell'ambito della stessa azienda non si riesce ad isolare gli animali malati per proteggere gli altri.
La difficoltà di ottenere i risarcimenti ha rappresento all'inizio il problema più sentito da tutte le imprese, perché l'Unione europea riconosce l'indennizzo soltanto per i capi abbattuti: attraverso la certificazione degli abbattimenti si ottiene una copertura del danno del 100 per cento. Lo stesso non avviene, però, per i capi che muoiono in azienda. Il problema è stato risolto grazie ad un intervento del Governo presso l'Unione europea, a seguito del quale la Comunità ha disposto che gli animali morti nelle aziende siano equiparati - come regime di risarcimento - ai capi abbattuti.
È stata così emanata, il 21 gennaio, l'ordinanza ministeriale con la quale il ministro della sanità ha previsto l'erogazione degli indennizzi per gli animali abbattuti e venuti a morte in seguito alla malattia. Agli animali morti si sono applicate le stesse misure previste per gli animali abbattuti, per cui gli indennizzi sono stati consentiti anche per questi ultimi.
Oggi, quindi, i provvedimenti adottabili in base alla legge n. 218 del 1988 - esclusivamente finalizzati all'indennizzo del danno diretto - consentono l'immediata e completa copertura dei danni subiti dalle aziende.
Per l’abbattimento e la distruzione dei capi presenti in allevamento la legge 218 del 2/6/1988 prevede un rimborso pari al valore di mercato dei capi abbattuti.
Inoltre, nell'ambito dell'attività di coordinamento, il ministero della Sanità ha sollecitato le regioni Veneto e Lombardia affinché facessero ricorso a quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, della legge n. 218 del 1988, ovvero all'utilizzo del vuoto biologico al fine di impedire l'ulteriore diffusione della malattia. Le due regioni hanno presentato un piano di depopolamento che dovrebbe concludersi entro il 10 aprile 2000. Un decreto ministeriale determina l'abbattimento degli animali sani, per il depopolamento, in talune zone con conseguente corresponsione dell'indennizzo.
Finora, con abbattimenti non ancora completati, le regioni Lombardia e Veneto hanno fatto pervenire richieste finanziarie di indennizzo ammontanti a circa 200 miliardi di lire, tenuto conto che ai suddetti focolai bisogna aggiungere 109 allevamenti, con 3,2 milioni di volatili abbattuti e distrutti.

L'ampio spettro dei danni indiretti
Gli esperti del settore sostengono che le cifre su cui si discute in questi giorni sono dell'ordine di 700-800 miliardi; tali cifre richiedono una mobilitazione di vari ministeri e delle regioni, perché non ci si può limitare ai soli danni diretti.
L''influenza aviaria ha infatti prodotto anche danni indiretti, che non sono riconducibili soltanto alle cause che hanno determinato l'abbattimento degli animali. Si tratta di danni consistenti, in molti casi addirittura superiori a quelli diretti.
Bisogna infatti ricostituire il ciclo dell'allevamento e questo richiede dei mesi, perché l'influenza provoca la morte di tutti gli animali dell'azienda. Anche le precauzioni sanitarie allungano i tempi di riavvio.
Per la manodopera, stagionale o fissa non esiste alcuna forma di indennizzo - tipo indennità di disoccupazione - per il periodo in cui non lavora a causa della crisi.
Si tratta insomma di approvare le norme e trovare le risorse per indennizzare la perdita di reddito derivante dal fermo imposto all’attività economica, in base alla normativa comunitaria e nazionale.

L'Unione Europea: quello che dà, quello che bisogna chiedere
Il tema della compatibilità comunitaria degli interventi è rilevantissimo.
La materia, come ho detto fin dall'inizio, è quasi completamente comunitarizzata. E, proprio come previsto dalla normativa comunitaria, sono state adottate anche una serie di misure di protezione e sorveglianza, fra cui il divieto di esportazione dei capi dalle zone interessate, il che ha consentito di non creare allarme a livello comunitario e nei consumatori.
Occorre ora intervenire nei confronti dell'Unione europea affinché riconosca la calamità che ha colpito il settore.
Ma questo è solo un aspetto della nostra iniziativa europea. L'Italia ha già cominciato un altro percorso: quello di prendere lo spunto dalla situazione determinata da questa influenza aviaria per chiedere una diversa regolamentazione della materia a livello europeo, innanzi tutto dal punto di vista sanitario
Va ricordato infatti che la normativa europea ci ha impedito di intervenire nel periodo di tempo compreso tra il manifestarsi del virus a bassa virulenza e il manifestarsi di quello ad alta patogenicità. Le misure adottate sono state riconosciute valide e concordate con i produttori, ma si è potuto intervenire quando si sono verificati i primi sintomi del virus, cioè nei primi mesi del 1999. Bisognerà essere in grado di farlo, non solo come italiani ma come europei, se dovesse verificarsi di nuovo una vicenda simile. L'Italia ha già chiesto una modifica della direttiva. Questa può essere modificata anche attraverso la legge di recepimento. In questa vicenda abbiamo infatti verificato che vi è un limite nella normativa europea e occorre colmarlo: se avessimo adottato le misure applicate quando il virus ha raggiunto un alto livello di patogenicità nel momento in cui lo stesso aveva una bassa patogenicità, non si sarebbero verificate le conseguenze che conosciamo.
Il ministro della Sanità era così convinto di questa che fin dell'aprile 1999 aveva richiesto alla Commissione di modificare la direttiva 92/40/CEE sottolineando l'opportunità di ricorrere all'abbattimento degli animali presenti negli allevamenti colpiti, ma la stessa Commissione, preoccupata dei notevoli costi dell'operazione, non ha dato seguito alla richiesta.
Ora è stata inoltre formalizzata alla Commissione europea nel mese di febbraio la richiesta di modifica della direttiva 92/40/CEE, affinché vengano riconsiderate le misure sanitarie alla luce di quanto verificatosi in Italia, quindi sostanzialmente consentendo di intervenire anche in presenza di virus a bassa virulenza.
In tema di regolamentario comunitarie, bisogna poi sollevare il problema che il controllo sui mangimi non dà per certi animali le stesse garanzie che dà per altri. In sede europea va sostenuto il principio che la sicurezza dell'alimentazione debba riguardare tutti gli animali e non solamente alcuni; attualmente invece, esistono garanzie rispetto all'alimentazione dei bovini, ma non rispetto a quella di altri animali.

Gli ultimi Orientamenti si applicano all'influenza aviaria
C'è, ovviamente, primariamente, il tema più contingente della compatibilità comunitaria degli interventi economici immediati di sostegno al settore.
Sappiamo che il governo lo sta seguendo e che il ministro De Castro ha predisposto un intervento da sottoporre al Consiglio dei ministri dell'agricoltura a Bruxelles. Già alla riunione del 24 gennaio l'Italia ha introdotto il problema della crisi aviaria, chiedendo al commissario Fischler la possibilità di applicare la disciplina del regolamento comunitario in materia di uova e pollame che prevede interventi di mercato in caso di crisi gravi: l'articolo 14 del regolamento n. 2777 del 1975 consente in effetti un'ampia interpretazione, ma limitatamente ad interventi di mercato (quindi non destinati alle singole imprese). Il Governo, per esempio, avrebbe la possibilità di predisporre un piano avicolo a fini di stoccaggio del prodotto o di miglioramento della qualità ma non potrebbe intervenire direttamente a sostegno delle imprese, che secondo l'attuale legislazione nazionale e comunitaria possono richiedere interventi esclusivamente per l'indennizzo del danno subito.
Tale indennità è compatibile con la normativa comunitaria, (v. gli "Orientamenti comunitari per gli aiuti nel settore agricolo" contenuti nell’atto 2000/C 28/02 pubblicato sulla G.U.CE. C/28 del 1/2/2000) ed è stata già prevista con un provvedimento specifico adottato per un’epidemia di afta epizootica verificatasi nel 1993.
L'ultimo documento, quello pubblicato il 2 febbraio scorso, ha un capitolo dedicato agli "Aiuti alla lotta contro le epizoozie e le fitopatie". Tra le finalità, viene detto che "tali aiuti dovrebbero prefiggersi uno dei seguenti obiettivi: di prevenzione, in quanto essi prevedono indagini di massa o analisi, l'eradicazione di agenti patogeni che possono trasmettere l'infezione, vaccinazioni preventive degli animali o opportuno trattamento delle colture, abbattimento preventivo del bestiame o distruzione dei raccolti; di compensazione, in quanto il bestiame contagiato viene abbattuto o i raccolti distrutti per ordine o raccomandazione delle autorità pubbliche, oppure il bestiame muore in seguito a vaccinazioni o altre misure raccomandate o ordinate dalle autorità competenti; combinati, in quanto il regime degli aiuti compensativi delle perdite imputabili a malattie è soggetto alla condizione che il beneficiario si impegni ad applicare in futuro idonee misure di prevenzione, secondo quanto prescritto dalle autorità pubbliche".
Mi pare che ci siano tutte le condizioni per la applicazione degli Orientamenti comunitari alla influenza aviaria.

I contenuti del disegno di legge presentato al Senato
Questo è il contesto entro il quale si inserisce il disegno di legge all'esame della nostra commissione. E' la prosecuzione di un'attività, non il suo inizio.
"Ritengo che l'approccio sin qui seguito dal ministro della sanità, di concerto con i ministri delle politiche agricole e forestali e dell'industria, nonché con le regioni e le associazioni di categoria, sia condivisibile e che si sia intervenuti in tempi rapidi". Uso per esprimere la mia valutazione le parole dell'on. Paolo Scarpa Bonazza, autorevole rappresentante del Veneto alla Camera dei deputati ed esponente di Forza Italia.
All'interno di questa azione, una risposta legislativa può essere un provvedimento destinato prevalentemente all’emergenza, le cui misure si applicano quindi solo alle aziende situate nelle zone interessate dai provvedimenti per l’epidemia verificatasi a partire dal mese di dicembre 1999: in buona sostanza si applica in gran parte a Veneto e Lombardia. Senza rinunciare a questa prospettiva, anzi assumendola come una esigenza necessaria ed integrativa, come dirò più avanti, il disegno di legge da me presentato assieme al senatore Piatti, prevede un’integrazione a regime della legge 218 del 1988 al fine di inserire una norma che consenta, qualora si presentino epizoozie che comportano l’applicazione dei provvedimenti sanitari di abbattimento, di erogare un’indennità di mancato reddito (la legge 218 già prevede l’indennità per gli abbattimenti). La copertura è a carico del Fondo sanitario nazionale, come già quella per gli abbattimenti. L’indennità andrebbe calcolata secondo alcuni parametri e definita con decreto del Ministro.
Per l’emergenza dovuta all’influenza aviaria si prevede, in una norma ad hoc, l’emanazione di un decreto immediato che consentirebbe di calcolarla ed erogarla subito. Sempre per l’emergenza si prevede una norma, per la sospensione delle rate di credito e previdenziali e per l’erogazione del mutuo per il consolidamento delle rate sospese.
Per quanto riguarda gli stanziamenti, il testo non quantifica quelli per il mancato reddito perché li pone a carico del Fondo sanitario nazionale.
Sarebbe da aggiungere una norma per erogare finanziamenti per il miglioramento delle condizioni di igiene e benessere degli animali e degli allevamenti. Inoltre non è previsto nel disegno di legge, l’intervento per la cassa integrazione e per le aziende diverse da quelle di allevamento: tema che comunque andrebbe posto.
C’è da osservare, ritornando sul fronte della copertura dopo queste osservazioni, che se si fa un provvedimento per tutta la filiera i soldi non si possono prendere solo dal settore agricolo. Questo vale sia per l’erogazione dell’indennità di mancato reddito, che per la cassa integrazione che per la biosicurezza a favore di imprese industriali e commerciali (mangimifici, incubatoi, trasporti, pollina).

I temi che la vicenda ha reso più urgenti sul piano normativo
E' da riflettere poi se l'attuale stato di calamità non debba portare ad affrontare temi che sono stati evidenziati in questi mesi e per i quali non ci sono ancora risposte scientifiche o legislative.
Vaccino. Il primo problema è quello del vaccino. L’Istituto superiore di sanità sta studiando dei vaccini, ma allo stadio attuale delle conoscenze la vaccinazione non costituisce uno strumento utilizzabile: a parte la praticabilità scientifica, che come si è detto è da studiare, vige peraltro il divieto di vaccinazione imposto dall’Unione Europea per questo tipo di malattia. E' questo un aspetto altrettanto delicato, quanto quello della sicurezza scientifica. Non si può infatti correre il rischio che gli allevamenti avicoli nazionali siano ridotti a servire solo all'autoconsumo all'interno di alcune aree, in quanto il mancato concerto europeo ne vieterebbe il trasporto fuori delle zone in cui fosse stata applicata la vaccinazione.
Anagrafe. E' stata anche evidenziata la necessità della costituzione dell’anagrafe avicola per la registrazione di tutti gli stabilimenti, aziende faunistico venatorie, svezzatori, rivendite in sede fissa o ambulante, incubatoi e ogni altro luogo in cui il pollame è allevato o commercializzato.
L’anagrafe, per essere efficace, dovrebbe riguardare anche gli allevamenti amatoriali. E questo è un punto di impatto con l'opinione pubblica assai delicato, perché potrebbe essere letto ed interpretato come una nuova intollerabile ingerenza pubblica in comportamenti individuali tradizionali. E tuttavia questa appare una necessità proprio sulla base dell'esperienza vissuta in queste settimane e dai gravissimi costi per la produzione e per la collettività che alcuni di questi allevamenti amatoriali hanno procurato.
L’anagrafe sarebbe ovviamente una questione delle regioni, ma dal censimento degli allevamenti rurali e familiari alla loro gestione, sarà necessario dare regole che garantiscano la sicurezza e non la burocrazia.
Sicurezza della filiera. E' infine opportuno verificare la sicurezza igienica e sanitaria di tutte le aziende della filiera: produttori di mangimi, che non siano già disciplinati dalle norme vigenti, i trasportatori di pollame, mangimi, concimi, trattamento e lavorazione della pollina. L'esercizio di tali attività dovrebbe essere condizionato al possesso di requisiti strutturali, igienici, di conduzione funzionali ad una corretta gestione per prevenire il ripetersi di analoghe epidemie.

L'iniziativa del Governo e del Senato
Questo approccio complessivo è del resto già una realtà. Presso il Ministero della sanità è stato avviato un tavolo con la partecipazione di rappresentanti dei Ministeri della sanità, delle politiche agricole e forestali e dell'industria, nonché delle regioni particolarmente interessate e di tutte le associazioni del mondo della produzione. Esso ha già individuato i contenuti di un provvedimento che affronti gli aspetti della ripresa produttiva, quelli della ristrutturazione del settore e quelli più propriamente sanitari. Mi auguro che al più presto il governo presenti un'iniziativa legislativa che si affianchi, arricchendola e completandola, all'iniziativa parlamentare.
Credo infatti sia importante che anche il Parlamento, attraverso la discussione che oggi inizia al Senato di un disegno di legge che dà alcune risposte all'influenza aviaria, stia dimostrando tempestività ed attenzione. Mi pare utile che il nostro lavoro avvenga anche con il contributo dei diretti interessati, per cui credo che dovremo procedere al più presto ad incontrare gli allevatori e le loro rappresentanze.

5 aprile 2000


16 aprile 2000
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